sabato 15 settembre 2012

Malattie croniche nell'infanzia

Aumentano di anno in anno i bambini che soffrono di malattie croniche, una volta appannaggio esclusivo degli anziani. Sono 3 milioni i bambini che ne soffrono, e questo paradossalmente grazie ai progressi compiuti in pediatria e neonatologia, che riescono a salvare bambini malati che fino a pochi decenni fa sarebbero sicuramente morti. Lo ha sottolineato Alberto Ugazio, presidente della società italiana di Pediatria (Sip), riunita a congresso a Roma. I progressi compiuti sul piano diagnostico e terapeutico sono innumerevoli, basti pensare ai dati sulla mortalità infantile: se a inizio secolo era pari a 174 casi su mille, negli anni 50 è passata a 52,7 per recedere a 4,4 nel 2001 sino a 3,6 bambini nel 2008. "Nonostante ciò oggi, forse ancora più di ieri, il bambino deve tornare al centro delle scelte sociali e politiche del Paese" spiega Alberto Ugazio, Presidente SIP. Se, da un lato, nelle società occidentali, le malattie infettive non sono più una priorità, dall'altro lato, “sono le malattie croniche complesse, che interessano circa 3 milioni di bambini, a rappresentare la nuova frontiera della pediatria. Molte malattie un tempo fatali, quali cardiopatie congenite, diabete, leucemie, oggi possono essere curate. Sono diventate, infatti, croniche. Ma l'organizzazione sanitaria deve strutturarsi per garantire adeguate cure e continuità assistenziale”, aggiunge Ugazio. Mentre sono traumi e lesioni, ricordano i pediatri, la prima causa di mortalità tra 5 a 19 anni e la terza causa nei primi 4 anni. Cause perinatali e anomalie congenite sono invece responsabili del maggior numero di morti dalla nascita fino a 4 anni. Leucemie e tumori, dopo il primo anno di vita, rappresentano la seconda causa di mortalità in tutte le fasce di età con una maggiore incidenza tra i 15-19 anni (3,7 su 10 mila), ed i problemi respiratori la quarta causa. La mortalità pediatrica per AIDS in 20 anni (dal 1980 al 2002) è diventata prossima allo zero. Purtroppo aumenta invece l'incidenza dei tumori: ogni anno in Europa, si ammalano 140 bambini ogni milione di bambini di età 0-14 anni, con un incremento annuo variabile dallo 0,8 al 2.1%. In ogni caso, ribadiscono gli esperti, sono le malattie croniche - che, paradossalmente, originano quasi per intero dagli straordinari successi scientifici - a rappresentare oggi la vera emergenza della pediatria. Basti pensare alla capacità dei neonatologi di far sopravvivere, crescere e diventare adulti bambini che pesano meno di 1 Kg alla nascita, o agli straordinari progressi della cardiologia e della cardiochirurgia che consentono oggi di correggere cardiopatie congenite che fino a pochi anni or sono erano incompatibili con la vita. E lo stesso vale per un gran numero di malattie genetiche, onco-emopatie, fibrosi cistica, deficit primitivi e secondari dell'immunità. Fonte:salute agi.it

giovedì 13 settembre 2012

Sorriso

Lavorando in una Terapia Intensiva neonatale,dove l'emergenza è la quotidianità e l' eccezionalità dei casi risulta quasi normale, si vivono e si "sentono" i pazienti. Si crea un rapporto, soprattutto con chi rimane per molto tempo, profondo, spesso duraturo e incancellabile. Anche se il personale sembra distaccato, asettico, professionale , sente tutto il pathos non solo del pazientino, ma anche dei genitori, catapultati in una realtà così strana, in un limbo che ha il sapore di un incubo.Loro, i genitori, non capiscono tante cose, non solo tecniche....finchè non le vivono in prima persona: la calma che può regnare durante le poppate,i colloqui quasi sottovoce, rotti dal suono dei monitors, aprire con delicatezza gli oblò delle incubatrici...poi l'emergenza, la palpabile linea adrenalinica che percorre il reparto, le attese fuori della porta nella speranza che non sia il tuo, l'oggetto dell'urgenza. Alla fine la quiete dopo la tempesta..il sorriso tirato dell'equipe che ha affrontato l'emergenza, le rassicurazioni, la calo della tensione.Ma tutto ciò si dissolve con la dimissione.....Casa, amici ,parenti..il sole.. una vita normale con un bambino piccolissimo, e ancora il suono degli allarmi dei respiratori nelle orecchie.C'è spazio, finalmente, per le parole: "per tutto l'amore e la dedizione e l'impegno" mostrato da "questi uomini e queste donne eccezzionali" , " la professionalità"...."senza di voi non ce l'avremmo mai fatta"...Sono cose che tra noi in Tin non ci diciamo,magari le mettiamo in cornice e le appendiamo sui muri del reparto, ma ci fanno piacere e soprattutto ci fanno bene! Una volta un genitore mi scrisse : " ciò che per lei è stato soltanto il suo lavoro, per noi vuol dire poterla ringraziare oggi". Non è stato e non sarà mai soltanto il mio lavoro... non lo farei se non lo sentissi profondamente, se non ci mettessi la passione, la fatica e il sudore,se non amassi quei bambini e i loro genitori che combattono per il loro piccolo. Noi tutti vorremmo che ci fosse sempre un sorriso e non una lacrima..

venerdì 7 settembre 2012

Ancora Diabete...

Uno studio recente si è proposto di valutare i rapporti tra qualità dell’alimentazione della donna nel primo trimestre di gravidanza e marker di sensibilità/resistenza all’insulina alla nascita. Utilizzando l’Healthy eating index (HEI) per misurare la qualità dell’alimentazione e il punteggio MDA per l’aderenza alla Dieta Mediterranea (DM), lo studio ha analizzato il comportamento alimentare di 35 donne e lo ha confrontato con i biomarker di sensibilità/resistenza all’insulina rilevati nel sangue del cordone ombelicale alla nascita. Gli Autori dello studio hanno osservato che le donne con scarsa aderenza alla DM o cattiva qualità dell’alimentazione, mostrano una ridotta glicemia a digiuno (rispettivamente, P=0.025 o P=0.016), ma danno alla luce bambini con ipoglicemia.Una scarsa aderenza alla Dieta Mediterranea o comunque un’alimentazione di bassa qualià durante le prime 12 settimane dal concepimento sembrano, dunque, influenzare negativamente i marker per l’insulino-resistenza del nascituro, confermando i risultati di precedenti studi sull’importanza dell’alimentazione nel percorso periconcezionale.Perleggere l'articolo originale cliccare il seguente link: aternal diets with low healthy eating index or mediterranean diet adherence scores are associated with high cord-blood insulin levels and insulin resistance markers at birth Gesteiro E, Rodríguez Bernal B, Bastida S et al. Eur J Clin Nutr. 2012 Jul 25. doi: 10.1038/ejcn.2012.92. [Epub ahead of print].

lunedì 3 settembre 2012

Il Diabete in età pediatrica

Il diabete mellito è una situazione caratterizzata dall'incapacità dell'organismo a mantenere un livello di glicemia (quantità di zucchero nel sangue) nella norma. Ne esistono diverse forme. Quella più comune in età pediatrica è il diabete mellito autoimmune di tipo 1 (chiamato spesso per semplicità diabete insulino-dipendente). Il diabete mellito autoimmune di tipo 1 è la conseguenza della distruzione da parte di autoanticorpi (anticorpi diretti contro l'organismo stesso) delle cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina (ormone che serve a regolare il livello di glicemia nel sangue). Le cellule che producono insulina sono le sole ad essere interessate: tutto il resto del pancreas rimane perfettamente intatto ed efficiente. L'incidenza del diabete autoimmune di tipo I in Italia è intorno a 7 nuovi casi /100.000 abitanti /anno. La sintomatologia classica è rappresentata dalla poliuria (aumento della quantità di urine emesse) e dalla conseguente polidipsia (aumento della sete). Se tale situazione si prolunga per molto tempo il soggetto può andare incontro a disidratazione (eccessiva perdita di liquidi dell'organismo) oppure la malattia può esordire clinicamente con una chetoacidosi (produzione di chetoni che portano ad un'acidificazione del sangue). Molto spesso, una volta posta la diagnosi, ricostruendo la storia clinica del paziente, ci si accorge che la poliuria e la polidipsia erano iniziate da diverso tempo (in media una ventina di giorni) ed il bambino si alzava di notte per andare in bagno oppure bagnava il letto; la nicturia (necessità di urinare durante la notte) è infatti spesso il primo campanello di allarme della malattia, visto che, soprattutto in un bambino ormai autonomo, l'aumento della minzione può passare inosservato durante il giorno. Gli esami diagnostici: di fronte al quadro clinico descritto, il riscontro di una glicemia elevata, magari accompagnata da una franca chetonuria (presenza di chetoni nelle urine) è già diagnostico. Per differenziare il diabete autoimmune dalle altre forme, più rare, ma comunque possibili in età pediatrica (vedi più avanti) è utile eseguire un dosaggio degli autoanticorpi specifici ed un test per valutare la secrezione di insulina residua. Un'altra forma di diabete mellito, seconda per ordine di frequenza in età pediatrica è il diabete mellito di tipo II dell'età giovanile (Mody) . Si tratta di una condizione molto più rara rispetto al diabete autoimmune, simile a quella del diabete "classico" dell'adulto. In questo caso i sintomi sono in genere più sfumati, non vi è quasi mai chetoacidosi e, soprattutto, la causa non risiede nella distruzione della parte endocrina del pancreas da parte degli anticorpi ma in un difetto nel meccanismo di funzionamento dell'insulina. Molto spesso si riscontra una familiarità. Gli autoanticorpi specifici del diabete autoimmune (IA2, GAD) sono assenti, la secrezione residua di insulina è buona. Attualmente la terapia farmacologica del diabete di tipo 1 consiste nella somministrazione di insulina, nelle sue varie forme (ultrarapida, rapida, intermedia, lenta, ultralenta), secondo lo schema che sarà reputato dal pediatra più adatto e individualizzato. Lo schema alimentare sarà rigido negli orari ma senz'altro vario per quello che riguarda l'assortimento degli alimenti. Esso assicurerà sempre un normale fabbisogno calorico per l'età, indispensabile alla crescita ed allo sviluppo del soggetto in età pediatrica. Altre terapie, sperimentali, in particolare quelle a base di immunosoppressori, come la ciclosporina, sono state oggetto di studi approfonditi negli ultimi anni, ma nessuna di queste ha dimostrato un reale beneficio a lungo termine e non sono quindi adottate nella corrente pratica clinica. Nel diabete giovanile di tipo 2 (MODY) la terapia riposerà sul regime dietetico, sugli ipoglicemizzanti orali, sull'insulina, a seconda delle valutazioni del caso. Scopo della terapia è quello di ottenere un buon controllo metabolico, con un livello di glicemia stabile per evitare sia i problemi immediati (ipoglicemia = glicemia troppo bassa con rischio di malessere e perdita di coscienza ed iperglicemia = glicemia troppo alta e conseguenti poliuria, polidipsia, disidratazione, chetoacidosi), sia quelli a lungo termine (complicazioni renali ed oculari). Le attuali conoscenze in merito sono molto incoraggianti: un buon controllo metabolico, testimoniato da un valore di HbA1c (emoglobina glicosilata, esame che viene effettuato ogni tre mesi e che rappresenta il valore medio di glicemia negli ultimi 90 giorni) inferiore a 7,5% riporta il rischio di complicanze oculari e renali a quello della popolazione non diabetica. La corretta gestione consente di condurre una vita assolutamente normale; per fare un esempio, esistono numerosi campioni dello sport affetti da diabete di tipo I la cui condizione non gli impedisce affatto di fare buna vita normale.