lunedì 21 luglio 2014

Poliomelite ancora attuale...

Vent’anni fa la poliomielite sembrava in via di eradicazione, grazie soprattutto alla vaccinazione orale col metodo di Sabin; oggi si assiste invece ad un ritorno del virus, e l’Organizzazione Mondiale della sanità ha lanciato un allarme nello scorso mese di maggio. Tre stati in particolare (Pakistan, Siria e Camerun) hanno un controllo insufficiente della malattia e sono esportatori del virus, mentre altri sette stati presentano una diffusione, per ora confinata, del virus. L’eradicazione del poliovirus è più complessa di quella del vaiolo, per ora l’unico successo completo delle nostre pratiche vaccinali su scala mondiale. Esistono due diversi vaccini, uno sviluppato da Jonas Salk e basato su virus ucciso, l’altro preparato da Albert Sabin e basato su virus vivo ma attenuato. Il primo non ha effetti avversi ed è quello correntemente usato in tutti i paesi nei quali la malattia è stata eradicata (Italia inclusa), ha il difetto di non prevenire l’infezione intestinale da poliovirus, ma solo le sue complicanze neurologiche (la paralisi); come conseguenza non può essere usato per l’eradicazione, perché non impedisce la permanenza del virus nell’ambiente. Il secondo previene sia l’iniziale infezione intestinale, che le sue possibili conseguenze neurologiche, ma ha alcuni effetti avversi: in primo luogo rilascia nell’ambiente virus vivi che possono ridiventare capaci di causare paralisi, per mutazione; in secondo luogo il virus attenuato, se somministrato a bambini con difetti immunitari congeniti può causare una infezione diffusa, anche mortale. I paesi nei quali il virus è ancora endemico sono paesi che hanno situazioni interne gravi o disastrose, e dai quali i cittadini emigrano o fuggono: e se non vaccinati, esportano virus della poliomielite in paesi nei quali la malattia era stata in precedenza eradicata, e nei quali una parte della popolazione è vaccinata con il vaccino di Salk, quindi è recettiva ad ospitare temporaneamente il virus nell’intestino e quindi a mantenerlo nell’ambiente. Il mondo, purtroppo, è piccolo e ciò che accade in un paese, anche apparentemente lontano, ha ripercussioni su scala globale. Per questo l’Oms ha richiesto ai paesi a rischio un maggiore impegno nella lotta alla poliomielite; ha inoltre richiesto l’obbligo di vaccinazione per tutti i viaggiatori diretti ai paesi nei quali il virus è presente. In un recente editoriale della rivista Nature si sostiene che queste misure non siano sufficienti e che la lotta alla poliomielite deve essere condotta nelle zone di endemia, mentre la vaccinazione dei viaggiatori sarebbe di scarsa efficacia. Purtroppo nelle zone dove la poliomielite è endemica, la mortalità infantile è molto elevata per cause diverse dalla polio: in queste zone la lotta contro la poliomielite viene vista come richiesta e voluta dagli “altri” (i paesi ricchi), a discapito di necessità sanitarie più urgenti ed immediate e spesso la cooperazione locale con le campagne di vaccinazione è scarsa. La poliomielite, come altre malattie infettive, potrebbe tornare anche in Italia, importata da un paese ad alta endemia. L’eradicazione della poliomielite in Pakistan o in Camerun è un nostro primario interesse, che noi tendiamo a dimenticare perché da moltissimi anni la paralisi infantile è scomparsa dal nostro paese, ma tutti bambini del mondo hanno diritto a questo beneficio e anche i nostri non sono al sicuro. Tratto da: il fatto quotidiano.it

sabato 12 luglio 2014

I grassi nei disturbi gastrointestinali

Omega 3 grandi alleati per chi soffre di disturbi gastrointestinali. Lo affermano due recenti ricerche, presentate a Stoccolma dall'Issfal, la Società internazionale per lo studio di grassi e lipidi. A sottolineare l'importante risultato è Assitol, l'Associazione italiana dell'industria olearia. In particolare, le prove sperimentali effettuate in laboratorio hanno rivelato che l'introduzione nella dieta dei cosiddetti “grassi buoni” - soprattutto di Epa e Dha – favorisce l'attività della flora intestinale e, in particolare, dei batteri anti-infiammatori, che combattono con successo disturbi cronici come la colite. Gli Omega 3, in altre parole, aiuterebbero le difese già presenti nell'organismo a debellare i problemi di origine gastrointestinale. Tale fenomeno è stato osservato dai ricercatori dell'Università della British Columbia (Canada) anche nell'ambito di un regime alimentare ricco di grassi saturi. Al riguardo l'Issfal, in una nota di presentazione delle ricerche, ha sottolineato come “assumere i grassi 'giusti' sia ancora più importante del loro quantitativo totale nella dieta quotidiana”. La scoperta è significativa perché, come stigmatizzano entrambe le ricerche, è ormai accertato che i disturbi gastrointestinali cronici, anche di lieve entità, possono favorire l'insorgere di malattie dell'intestino molto più serie, come il morbo di Crohn. Gli studiosi americani della Harvard Medical School e Massachussets Generale Hospital, in tal senso, hanno suggerito che, “in certe condizioni di salute, è addirittura consigliabile un alimento arricchito con un'alta concentrazione di Omega 3”. Ed è di questi giorni la pubblicazione di un'indagine sull'American Journal of Clinical Nutrition, che dimostra la facilità di assorbimento degli stessi Omega 3 da parte dell'organismo umano se sono di origine vegetale. Fonte: agroalimentarenews.com

sabato 5 luglio 2014

Lutto della madre e rischio di Obesità infantile

Uno studio danese ha esaminato casi di bambini che, non ancora nati da madri esposte a grave stress , tipo un lutto , hanno più probabilità di altri di crescere in sovrappeso o obesi, anche se lo stress si è verificato tempo prima della gravidanza. I bambini, i cui padri biologici sono morti mentre erano nel grembo materno hanno due volte più probabilità di diventare obesi da adulti, a causa dello stress che la madre ha generato con il lutto, hanno affermato i ricercatori danesi. Ma i bambini hanno ugualmente un aumento del rischio di diventare obesi o di essere soprappeso da adulti, se le loro madri sperimentato la morte di un parente stretto fino a sei mesi prima della loro concepimento. La risposta di una madre allo stress apparentemente ha effetti a lungo termine sul bambino che porta in grembo, ha detto l'autore dello studio Carsten Obel, professore associato di salute pubblica presso l'Università di Aarhus, in Danimarca. "Che lo stress materno può influenzare lo sviluppo del sistema dello stress fetale sembra abbastanza plausibile", ha detto Obel. "Cortisolo - il prodotto finale del sistema dello stress - influenza il deposito di grasso, e se questo ormone è rilasciato precocemente nella vita fetale può divenire un fattore di sviluppo di obesità." I ricercatori hanno basato le loro conclusioni sulle cartelle cliniche di quasi 120.000 uomini danesi nati tra il 1976 e il 1993 e successivamente esaminate per il servizio militare tra il 2006 e il 2011. Per esaminare gli effetti dello stress, si sono concentrati sugli uomini nati da madri che hanno perso un parente stretto poco prima o durante la gravidanza. Parenti stretti compresi i loro partner, un altro figlio, un fratello o genitori della madre. In generale, gli uomini avevano un rischio del 15 per cento più elevato di essere in sovrappeso se le loro madri sperimentato la morte di un parente stretto nei mesi prima del concepimento. Avevano un rischio del 13 per cento più elevato di essere in sovrappeso se un parente stretto era morto mentre erano nel grembo materno. I ricercatori non hanno trovato alcuna associazione tra adulti sovrappeso o obesi e stress di una madre che lo ha vissuto dopo la nascita del suo bambino. Questo ultimo studio, pubblicato online recentemente sulla rivista PLoS ONE, aggiunge una pila crescente di prove che lo stress, prima e durante la gravidanza può avere un impatto a lungo termine sulla salute del bambino in età adulta, ha detto il dottor Youfa Wang, presidente di epidemiologia presso la Scuola di sanità pubblica e Professioni Sanitarie presso l'Università di Buffalo a New York. Wang asserisce che "Se le madri sono sotto stress psicofisico, questo può condizionare l'interscambio di nutrienti e sostanze biochimiche tra la madre e il feto". Questa interazione può influenzare lo sviluppo e la funzione degli organi futuro del bambino. Tuttavia, è difficile dire quanto intenso lo sforzo deve essere potente per avere un effetto su un feto in via di sviluppo, ha ribadito Obel Inoltre, gli esperti sottolineano che questa ricerca non prova che il dolore durante la gravidanza predispone un nascituro all'obesità.Ma che ci sono molti altri fattori corresponsabili del soprappeso o dell’obesità. Per leggere l'articolo originale Cliccare: http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/news/fullstory_147036.html