mercoledì 30 aprile 2014

Fate la nanna!!

In una recente intervista rilasciata dal pediatra Eduard Estivill al quotidiano spagnolo El pais,nalla quale ammette che il suo noto metodo per far dormire i bambini non si può applicare al di sotto dei 3 anni perché i ritmi del sonno sono ancora immaturi e perché interferirebbe con la buona riuscita dell’allattamento al seno. Un’affermazione giustamente condivisa già da tempo a livello internazionale riguardo a tutti i protocolli basati sulle tecniche di “estinzione” almeno nei lattanti sotto i 6 mesi. Estivill è l’Autore di un fortunato libretto per genitori che servirebbe a insegnare loro un metodo per far dormire il loro piccolo (l’età non ha importanza in questo caso: si può iniziare secondo l’Autore anche appena tornati a casa dopo la nascita) “per tutta la notte”, ignorando le sue richieste e i suoi pianti per tempi crescenti (con rigorosa tabella dei minuti da seguire) fino a che si sia abituato ad addormentarsi da solo. In realtà il metodo esisteva già da una decina d’anni con il termine di “estinzione graduale” (laddove l’estinzione si riferisce al comportamento indesiderato, ossia il richiamo per il risveglio notturno del bambino e il bisogno di addormentarsi in compagnia) e prima ancora era stato diffuso dal pediatra americano R. Ferber fin dal 1985 (prese il nome di “ferberizzazione”). A parte le parasonnie (sonnambulismo, incubi ecc.), le insonnie di origine “medica” (asma, dermatite atopica, dolore cronico), i disturbi respiratori nel sonno e le insonnie in comorbidità con patologie neuropsichiatriche, cosa sia da considerare patologico a riguardo del sonno nel bambino è ancora da scoprire. Ci si riferisce, in questo caso, ai bambini in età prescolare, in particolare da 0 a 3 anni di vita. In sintesi, nel tempo sono stati considerati patologici aspetti diversi anche comportamentali che sono entrati a fare parte dei criteri diagnostici delle classificazioni internazionali; esse però stentano a diventare punti di riferimento unanimemente accettati, tant’è vero che in quasi nessuno studio si fa riferimento a tali criteri diagnostici. Uno dei punti chiave è proprio la mancanza del consenso sulla definizione di “caso”. Gli ultimi studi sui trattamenti comportamentali assumono come unico criterio quello soggettivo dato dal genitore.Cioè è il genitore che in seguito al pianto del bambino, ha il sonno disturbato. Intanto c’è da considerare che gli studi sui “valori normali” di durata del sonno e il numero di risvegli notturni nei piccoli non sono molti e mostrano una notevole variabilità nel tempo e nello spazio. E comunque, come per i percentili auxologici, ogni bambino ha la sua storia del sonno, influenzato da fattori genetici, ambientali. Va sottolineato, per meglio comprendere la portata del problema, che le incidenze dei DS – termine con cui, per semplificare, si indicano genericamente la difficoltà ad addormentarsi da soli (DA) e i risvegli notturni con richiamo (RN) – sono molto varie nel panorama mondiale, oscillando dallo 0 al 46%, maggiori a carico delle società industrializzate vecchie (USA, Francia, Australia) e nuove (Cina), e, nell’ambito delle società multietniche, nei gruppi di etnia occidentale caucasica.Tornando al disturbo del sonno genitoriale, laddove il sonno del piccolo crei dei problemi percepiti come tali dai genitori (anche a causa della discrepanza tra fisiologia infantile e aspettative socio-culturali), scatta l’incasellamento in categorie patologiche e la ricerca di una conseguente “terapia” per eliminare il disturbo. Allo stato attuale non ci sono evidenze (né sull’efficacia né sulla sicurezza) sufficienti per promuovere indiscriminatamente i protocolli comportamentali di tipo “estinzione” per la risoluzione dei comuni problemi di sonno dei bambini in età prescolare. La loro applicazione nei singoli casi dovrebbe essere valutata attentamente in relazione alla corretta diagnosi di DS e al contesto psicologico e familiare del bambino, sapendo che nella maggioranza dei casi essi vanno incontro a risoluzione spontanea. I bambini maggiormente a rischio di DS persistenti hanno spesso uno stile di attaccamento insicuro-ambivalente, che rende tali metodi difficilmente applicabili e prevedibilmente fallimentari (importante ricercare la presenza di depressione/ansia genitoriale). Oltre alla “presa in carico” della famiglia da parte del pediatra e alla conoscenza della normale fisiologia ed evoluzione del sonno infantile, già di per sé sufficienti in molti casi e di documentata efficacia, anche preventiva, quando usati come guida anticipatoria, si possono consigliare strategie più confortevoli e supportate da evidenze psico-biologiche, fondate sul supporto a una genitorialità responsiva (conforto fisico/co-sleeping a richiesta, e/o routine piacevoli prima del sonno) che lascino alla famiglia la scelta della modalità più congeniale per gestire il sonno dei piccoli. Fonte: Gruppo di studio sui disturbi del sonno dell' ACP

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