domenica 28 settembre 2014

Farmaci in classe

Soffrono di asma o diabete, sono malati di epilessia, hanno allergie che li possono esporre a uno choc anafilattico. E per questi motivi a scuola potrebbero avere bisogno di cure, per rispettare le prescrizioni della normale terapia o per un’emergenza: secondo una rilevazione Istat del 2013 su oltre 21mila scuole primarie e secondarie di primo grado, ogni anno ci sono oltre 5mila bambini e ragazzini che hanno bisogno della continuità delle cure durante le ore di lezione e si registrano poco meno di 7mila richieste di interventi per la somministrazione di farmaci in circostanze critiche, a cui si aggiungono oltre 1500 emergenze che una volta su due richiedono l’arrivo dell’ambulanza a scuola (per lo più per epilessia, asma o allergie). In teoria le regole per la somministrazione dei medicinali a scuola ci sono e sono chiare: i genitori di un bimbo con una patologia cronica che abbia bisogno di ricevere farmaci in classe presentano la richiesta del medico e si ottiene il nullaosta. Il problema sta nel trovare chi, nella pratica, aiuterà il piccolo ad assumere la terapia: se è vero che nel 44% dei casi affrontati alle elementari è il personale della scuola a farsene carico e che un buon 18% di piccoli se la sbriga da solo, c’è tuttora un 21% di mamme e papà che devono entrare in classe per praticare un’iniezione al figlio o per fargli usare un inalatore. Le percentuali cambiano al crescere dell’età: fra i ragazzini delle medie il 41 % si somministra da solo il farmaco, il 29% conta sull’aiuto del personale scolastico e solo il 12% deve fare riferimento ai genitori. Ma c’è uno 0,6-0,9% di studenti che non è capace di far da sé e non ha qualcuno che possa aiutarlo. Per di più, il 30% di chi somministra i farmaci non è formato per farlo. «La legge prevede che ci sia un responsabile per i problemi sanitari presso la scuola, ma non è obbligato alla somministrazione di farmaci per urgenza o per problemi cronici a meno di assumersene direttamente la responsabilità - spiega Giuseppe Di Mauro, presidente SIPPS -. Per fortuna i casi complessi sono una minoranza e se si tratta di dare un antipiretico, un antibiotico, di far inalare un farmaco per una crisi di asma quasi sempre sono gli insegnanti a occuparsene: spesso basta che i genitori discutano con il corpo docente le esigenze del bambino perché tutto scorra liscio». «L’impressione è che la situazione sia a macchia di leopardo: in alcune Regioni la collaborazione fra scuola, pediatri e famiglie funziona, in altre stenta molto - osserva Sergio Bernardini, direttore della Clinica Pediatrica del Policlinico Universitario di Parma -. I farmaci per la continuità delle cure dovrebbero essere somministrati da un pediatra di comunità o da un infermiere della Asl che si rechino negli istituti scolastici dove c’è bisogno di questo servizio. Nella pratica, non sempre succede e molto ricade sulle famiglie o i piccoli pazienti. Perciò, insegnare l’autogestione della patologia resta un cardine fondamentale per stare bene, anche se naturalmente non si può chiedere a un bambino della materna o delle elementari di essere autonomo nella terapia. Questo è realisticamente possibile solo dai nove, dieci anni in poi. Nel caso del diabete, ad esempio, vediamo che se bambini e genitori sono ben seguiti dai medici e si instaura una buona collaborazione con gli insegnanti, spiegando loro in che cosa consiste la malattia e che cosa potrebbe accadere, la patologia viene vissuta senza sentirsi diversi dagli altri ed è raro che servano interventi in emergenza». Quello della formazione e della consapevolezza degli insegnanti è un punto nodale, come spiega Giuseppe Mele presidente dell’Osservatorio Paidòss: «La preparazione è fondamentale, anche e soprattutto per le emergenze. Gli insegnanti dovrebbero sempre sapere come si fa un’iniezione di insulina o come si gestisce un attacco epilettico, ma anche come intervenire in caso di soffocamento o per una rianimazione cardiopolmonare: oggi invece non esiste alcun obbligo in merito e magari si formano maestri e professori sulla giusta composizione di un pasto. Utile, certo, ma per preparare menu adatti ai bambini bastano i dietisti della Asl». «Invece, sarebbe ad esempio indispensabile dotare obbligatoriamente le scuole di un defibrillatore automatico - aggiunge Francesco De Luca, direttore della Cardiologia pediatrica dell’Ospedale Universitario Vittorio Emanuele di Catania -. Bastano poche ore per imparare a gestire un’emergenza cardiologica attraverso corsi per gli insegnanti: per prevenire i casi di morte improvvisa sui campetti da gioco sarebbero assai più utili di qualsiasi screening». «Sulla gestione delle malattie croniche molti docenti sono ben preparati, in tutta Italia; l’emergenza è invece un punto critico - conferma Giorgio Longo, responsabile dell’Unità di allergologia, dermatologia e trattamento dell’asma all’Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo di Trieste -. Nel caso di una crisi allergica grave, ad esempio, molto si può ancora migliorare per far sì che i bambini abbiano garantito l’accesso alla “penna” con adrenalina da iniettare per via intramuscolare, indispensabile contro lo choc anafilattico. Tutto passa anche in questo caso da una buona formazione di maestri e professori che, evidentemente, è ancora più facile a dirsi che a farsi». Da Corriere della Sera

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