sabato 7 novembre 2015

Bambini come gli adulti. in aumento le malattie cronche e l'obesità infantile

Diabete, ipertensione, colesterolo alto, anoressia, disturbi dell'umore: i bambini si ammalano con le malattie degli adulti. Un'indagine della Società italiana di pediatria ha rilevato che il 4% degli alunni delle elementari soffre anche di pressione alta. Colpa degli alimenti troppo salati e della quantità di ore passata su videogiochi. Tra gli «under dieci» è in aumento anche il diabete di tipo 2, quello «alimentare». Non solo, uno studio dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, pubblicato sulla rivista Pediatrics, ha scoperto un nuovo effetto dell'obesità e della cattiva alimentazione tra i bambini: rischio Alzheimer già da adolescenti. Tra le bambine di 6-7 anni sono in aumento i casi di anoressia o bulimia. Gli allarmi della pediatria sono cambiati e il quadro delle patologie che colpiscono i più piccoli anche, ribaltando totalmente la fotografia della sanità italiana. «Anni fa i bambini si ammalavano di varicella, morbillo e delle classiche malattie infettive - spiega Gian Vincenzo Zuccotti, professore ordinario di Pediatria alla facoltà di Medicina dell'Università Statale di Milano - Oggi abbiamo a che fare sempre più spesso con malattie cronico degenerative. Il problema più grave da affrontare è l'obesità: un terzo dei bambini con meno di dieci anni è sovrappeso». Zuccotti, che ha da poco concluso una ricerca sull'alimentazione dei più piccoli, ha rilevato che (in due gruppi di 200 bambini, uno a Milano e uno a Catania) «la situazione è pessima»: troppe proteine a tavola, tanti zuccheri semplici, bibite, succhi di frutta. Errori alimentari che possono creare le basi per patologie e disturbi in età adulta. «Ci sono parecchi elementi - sostiene il pediatra - che ci fanno dire che i bambini di oggi saranno adulti con problemi e vivranno meno rispetto alle generazioni precedenti». Anche perché, se da un lato c'è una forte reticenza a vaccinare i bimbi, dall'altro c'è un'eccessiva scioltezza nell'uso dei farmaci, antibiotici per primi. A lungo andare, questa abitudine «sociale» rafforzerà le classi batteriche e indebolirà gli organismi. Nella fotografia della pediatria italiana, non si può trascurare il numero dei ricoveri in ospedale. Diminuiti grazie agli ambulatori aperti 24 ore su 24, ma comunque eccessivi. Nel 2011 si sono registrate 453 dimissioni ospedaliere ogni mille bambini rispetto a 114 per mille in tutta la popolazione. Tuttavia nei bambini tra uno e 14 anni le morti per tumori e malattie del sistema circolatorio, rappresentano il 38,6 per cento del totale dei decessi. Stando ai dati diffusi dal ministero, i teenager e i bambini italiani vengono ricoverati molto più spesso di quanto avviene per i loro coetanei in altri Paesi del mondo: 75 su mille contro i 40 su mille negli Stati Uniti. In crescita anche i ricoveri dei bebè. Tra le cause dei ricoveri il 20% dei casi è rappresentato da malattie dell'apparato respiratorio, il 10% dagli avvelenamenti e il 7% dalla malattie infettive. Fonte: Il Giornale

sabato 17 ottobre 2015

Tornano le malattie infettive...senza vaccinazioni

Il rischio che tornino malattie dimenticate come la difterite, che ha già fatto capolino in Spagna, o che le morti per morbillo non siano più l'eccezione, come nel caso della bimba deceduta per una complicanza lo scorso anno a Roma, è altissimo. L'allarme, lanciato dall'Istituto Superiore di Sanità, è stato subito raccolto anche dall'Aifa e dai pediatri. Oltre che dalle campagne di sensibilizzazione, affermano, la riscossa dei vaccini passa per l'approvazione del Piano nazionale Vaccini da parte delle Regioni. «La copertura vaccinale nel nostro Paese - rileva Walter Ricciardi, neopresidente dell'Iss - è al limite della soglia di sicurezza e diventa ormai improcrastinabile l'approvazione del nuovo Piano Nazionale per la Prevenzione Vaccinale proposto da Ministero della Salute, Consiglio Superiore di Sanità, Istituto Superiore di Sanità ed Agenzia Italiana del Farmaco al Tavolo di coordinamento per la prevenzione delle Regioni italiane». Secondo i dati sono scese al di sotto del 95% le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B e la percentuale scende ulteriormente per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia che raggiunge una copertura dell'86%, in calo di oltre il 4% in appena un anno. Le conseguenze, sottolinea Ricciardi, sono per tutta la collettività. «Se non si ha più la cosiddetta immunità di gregge - ricorda l'esperto - aumenta il rischio che bambini non vaccinati si ammalino, che si verifichino epidemie importanti, che malattie per anni cancellate non siano riconosciute e trattate in tempo». Il fenomeno, sottolinea la Società Italiana di Pediatria, è già in atto. «Stiamo assistendo al ritorno di malattie che credevamo debellate - afferma il presidente Giovanni Corsello -. Un esempio tra tutti è la morte di bambini per pertosse, malattia che sta avendo una recrudescenza nei bambini nei primi mesi di vita, proprio per il calo della copertura vaccinale». I vaccini, sottolinea anche l'Agenzia italiana per il Farmaco (Aifa), salvano moltissime vite. «C'è purtroppo poca consapevolezza del rischio anche grave connesso alla mancata vaccinazione - afferma il presidente Sergio Pecorelli -. Ricordiamo che i vaccini hanno salvato circa 2 milioni e mezzo di vite l'anno, 5 al minuto e che, ancora oggi, una malattia come il morbillo può risultare mortale». In aiuto di chi ha dei dubbi debutta oggi il call center nazionale Vaccini e Vaccinazioni. A promuoverlo, il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) del ministero della Salute e dall'Università degli Studi di Foggia a cui fa capo il progetto. Il numero verde 800 56 18 56 sarà attivo il lunedì dalle 10 alle 18. Anche i medici di famiglia, ha confermato Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale, sono pronti a sensibilizzare i pazienti. «Noi medici di famiglia - ha sottolineato - siamo tutti i giorni in prima linea nell'incentivare le immunizzazioni tra tutta la popolazione». Fonte: Messaggero Salute

sabato 6 giugno 2015

Fertilità e infanzia

Circa un bambino o ragazzo su tre presenta condizioni mediche o comportamenti che possono avere ripercussioni negative sulla futura fertilita', ma la prevenzione nell'infanzia e nell'adolescenza puo' dimezzarne i rischi. Lo afferma la Sip, Societa' Italiana di Pediatria, durante il congresso nazionale a Roma. In mezzo secolo il numero di spermatozoi nel maschio si e' ridotto della meta'. Oggi il 20% delle coppie non riesce ad avere figli in maniera naturale e nel 40% dei casi e' l'uomo ad avere problemi. "Nella grande maggioranza dei casi le cause risalgono all'infanzia e all'adolescenza", ha spiegato Giovanni Corsello, presidente del Congresso e della Societa' Italiana di Pediatria, "i fattori di rischio sono alcune patologie e condizioni mediche dei primi anni di vita che non vengono riconosciute in tempo e alcuni comportamenti e stili di vita errati in eta' adolescenziale come fumo e abuso di alcol e sostanze stupefacenti. L'opera del pediatra e' fondamentale sia per la prevenzione primaria, attraverso la sensibilizzazione dei giovani all'adozione di comportamenti piu' responsabili, sia per la prevenzione secondaria, cioe' la diagnosi e il trattamento precoce delle condizioni mediche che possono portare all'infertilita', e, infine, attraverso i controlli periodici, per far si' che possano essere evitate eventuali complicanze di patologie gia' diagnosticate". Criptorchidismo e varicocele sono le due malattie che incidono di piu' sulla futura fertilita'. Il primo interessa il 3-5 per cento dei neonati ed e' piu' frequente nei bambini nati pretermine, il secondo e' una condizione che riguarda il 20 per cento degli adolescenti. Il fumo di sigaretta e di marijuana, l'abuso di bevande alcoliche e il consumo di sostanze stupefacenti sono stati, invece, associati a danni genetici a livello del dna degli spermatozoi e quindi ad una riduzione della fertilita' maschile. Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanita' il 20 per cento dei ragazzi italiani fuma sigarette e l'87 per cento inizia prima dei 20 anni. Circa il 30 per cento degli adolescenti fa anche uso di cannabis, l'abuso di alcol interessa il 64 per cento degli adolescenti e fino al 10 per cento in maniera abitudinaria. "Se consideriamo che negli adolescenti e' molto frequente il policonsumo di fumo, alcol e marijuana (fino al 64 per cento dei ragazzi) e' chiaro come questi fattori di rischio, sommandosi, possono in qualche modo danneggiare i testicoli, in un'eta' delicata come quella della maturazione e dello sviluppo", ha spiegato Giuseppe Saggese, presidente della Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione in Pediatria Saggese. Un ulteriore fattore di rischio sono le malattie sessualmente trasmesse, come la chlamydia, la gonorrea, la sifilide, l'hiv, gli herpes-virus e soprattutto il virus del papilloma umano. Anche ilsovrappeso e l'obesita'durante l'adolescenza determinano uno squilibrio ormonale che puo' avere effetti negativi Secondo Andrea Lenzi, presidente della Societa' Italiana di Endocrinologia, "il momento piu' critico si verifica nella fase di passaggio dal pediatra al medico dell'adulto. A 15-16 anni, quando il bambino smette di andare dal pediatra perche' anche i genitori sospendono le visite periodiche, non viene piu' fattoalcun controllo: invece per salvaguardare la salute il potenziale riproduttivo delle generazioni future occorre un percorso assistenziale post-pediatrico che consenta di agire proprio sulla finestra critica rappresentata dal passaggio dall'infanzia all'adolescenza, alla giovinezza". Per una corretta prevenzione i controlli vanno fatti alla nascita, a 12, 16 e a 18 anni. "Nell'infanzia il bambino deve essere sottoposto ad un controllo finalizzato a valutare la posizione dei testicoli e la eventuale presenza di alterazioni del pene e del meato uretrale, o della presenza di fimosi", ha affermato Lenzi. "Fra i 12 e i 16 anni una visita pediatrica di tipo andrologico risulta essenziale per seguire questo delicato processo di sviluppo ed individuare patologie come il varicocele. Al raggiungimento della maggiore eta' far visitare i propri figli significa mantenere attenzione su questa sfera abituando il ragazzo a controllarsi senza problemi,a verificare che lo sviluppo sia avvenuto correttamente e anche a prevenire il tumore al testicolo, uno fra quelli che colpiscono piu' frequentemente i giovani fra i 15 e i 35 anni". http://www.direnews.it/newsletter_odm/anno/2015/giugno/05/?news=08#sthash.7RlhrY0b.dpuf

sabato 18 aprile 2015

Australia: Penalizzati i genitori che non vaccinano i figli

I genitori che non vaccinano i propri figli possono perdere fino a 11 mila dollari di bonus degli assegni sociali annuali. E' la decisione presa dal primo ministro australiano Tony Abbott per frenare la fuga dalla vaccinazione dei nuovi nati. La nuova legge sarà in vigore dal gennaio 2016. Attualmente i genitori possono rifiutare la vaccinazione per motivi medici o religiosi affermando che sono obiettori di coscienza, senza perdere però gli assegni sociali. "La scelta della famiglia di non immunizzare - ha detto Abbott, come riporta la 'Cnn' - non è supportata da nessuna ragione medica o di ordine pubblico". La stima del Governo australiano è che più di 39 mila bambini sotto i 7 anni non sono stati vaccinati a causa dell'obiezione di coscienza dei genitori. Anche i pediatri italiani sposano la decisione del Governo australiano: "Sarebbe da importare anche in Italia, dove nel 2014 abbiamo avuto un boom di casi di morbillo (1.700) perché molti bambini non sono stati vaccinati - spiega all'Adnkronos Salute Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di pediatria (Sip) - Bloccare l'iscrizione a scuola o l'assistenza sanitaria ai genitori che non immunizzano i propri figli può essere un modo per frenare alla fuga dalle vaccinazione obbligatorie e consigliate. In Italia per le prime siamo al 90% della popolazione pediatrica coperta - conclude Corsello - ma ad esempio per il morbillo in alcune Regioni stiamo scendendo sotto il 90%. Lottiamo da tempo contro luoghi comuni e falsi miti sui rischi dei vaccini e continueremo a farlo".

sabato 11 aprile 2015

Vaccini. Rapporto Aifa su sorveglianza post marketing: "Sicurezza sotto controllo, ma disinformazione è problema"

I vaccini fanno paura. Ma la causa è la mancanza di informazioni da parte dei cittadini, non la sicurezza dei vaccini stessi. È questa la conclusione a cui è arrivata l'Aifa attraverso l'analisi del Rapporto sulla sorveglianza postmarketing dei vaccini in Italia nel 2013 che analizza le segnalazioni di sospette reazioni avverse per tipologia di vaccino: esavalente, trivalente e tetravalente, antipneumococcico, antimeningococcico, contro il morbillo, la parotite, la rosolia e la varicella, vaccinazione HPV, antinfluenzale stagionale e altri vaccini. Il rapporto parla di 3.727 segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse a vaccini con insorgenza nel 2013 pari a circa il 9% del totale (40.957) delle segnalazioni inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza in cui vengono segnalate le reazioni avverse da farmaci. A questi si aggiungono 84 casi in cui è stato riportato il vaccino sospetto (o i vaccini sospetti) solo in termini di componenti, senza alcun riferimento al nome commerciale. Dall'analisi delle segnalazioni 2013 si osserva un notevole incremento rispetto all'anno precedente (da 2.555 segnalazioni nel 2012 a 3.727 nel 2013), raggiungendo i livelli già elevati del 2009 e 2011. Il tasso di segnalazione è stato pari a 18 segnalazioni per 100.000 dosi di vaccino, con una forte variabilità regionale, con il tasso di segnalazione del Nord (29,9 per 100.000 dosi) triplo rispetto a quello del Centro e del Sud (rispettivamente 9,9 e 7,4 per 100.000 dosi). Un terzo delle segnalazioni è rappresentato da una sola regione (Veneto) con un tasso di segnalazione di 75,7 per 100.000 dosi, Ma il tasso elevato, secondo l'Aifa, "è spiegabile dalla presenza di diversi progetti di sorveglianza attiva in corso nelle regioni". Circa il 78% delle segnalazioni (2.915) ha riguardato i bambini fino a 11 anni, il 5% gli adolescenti (177), l'11% gli adulti (406) e il 6% i soggetti ltrasessantacinquenni (229). Rispetto al 2012, si è osservato un forte aumento della segnalazione nella fascia di età 1 mese - meno di 2 anni (dal 34% al 63%). L'analisi delle reazioni avverse per tipologia del vaccino mostra 1.343 segnalazioni (con un tasso pari a 90 per 100.000 dosi vendute) per il vaccino esavalente (DTP, IPV, HBV, Hib), tra i più utilizzati nei bambini per l'immunizzazione primaria contro difterite, tetano, pertosse, poliomielite, epatite B e malattie invasive da Haemophilus Influentiae tipo B. Le segnalazioni di sospette reazioni avverse al vaccino antipneumococcico sono state 1.381, di queste 1.281 (93%) riferite al vaccino Prevenar 13 (tasso di segnalazione 71 per 100.000 dosi). Per quanto riguarda la vaccinazione contro il meningococco, nel 2014 le segnalazioni sono state 328. Le 1.108 segnalazioni ricevute nel 2013 per le vaccinazioni contro morbillo, parotite, rosolia e varicella riguardano essenzialmente i vaccini trivalenti MPR Priorix e M-M-R-VaxPro da soli (37%) o in co-somministrazione con i due vaccini contro la varicella Varivax e Varilrix (30%), e il tetravalente MPRV Priorix Tetra (29%). Quindi nel complesso il 59% delle segnalazioni riguarda la somministrazione di morbillo, parotite, rosolia e varicella. Nel 2013, le segnalazioni riguardanti vaccinazione HPV sono state 216 (il maggior numero di segnalazioni si è osservato nelle classi di età nelle quali la vaccinazione è raccomandata, solo l'8% delle segnalazioni si riferiva a giovani adulti). Le segnalazioni di reazioni avverse, a prescindere dall'età del vaccinato, relative a somministrazione di vaccini antiepatite A, sono state 45, per l'antiepatite B sono state 28 e per antiepatite A e B sono state 4, quelle per le vaccinazioni contro il tetano sono state 157, contro lo pneumococco con vaccino 23-valente nella popolazione adulta e anziana sono state 68, altre 33 segnalazioni di sospette reazioni avverse sono avvenute a seguito di somministrazione del vaccino contro la febbre gialla. Per quanto riguarda il vaccino contro l'influenza stagionale (il rapporto si riferisce al periodo ottobre 2013 - marzo 2014), il numero di segnalazioni è stato di 208 (rispetto a 285 nella stagione 2012-2013). La popolazione maggiormente interessata è stata quella superiore ai 65 anni (50%). Le reazioni gravi sono state il 23% del totale, contro il 16,8% dell'anno precedente. Tra le reazioni avverse gravi sono stati segnalati 5 decessi, 4 in pazienti con età compresa tra 84 e 91 anni e 1 in un paziente di 63 anni. Analogamente a quanto riscontrato negli anni precedenti, dal Rapporto 2013 emerge che oltre metà delle segnalazioni sono pervenute da operatori sanitari dei distretti o dei centri vaccinali. Rispetto al 2012 sono diminuite le segnalazioni provenienti da farmacisti, pediatri di libera scelta e medici di medicina generale, mentre sono aumentate quelle degli infermieri e dei pazienti (il numero delle schede inviate dai pazienti sono passate da 23 del 2012 a 163 del 2013). Ma quali conseguenze hanno portato le reazioni avverse da vaccini segnalate nel 2013? L'84% riportava reazioni non gravi, mentre le gravi hanno rappresentato il 12%, in una quota pari all'4% la gravità non è stata definita. "Questo valore - spiega l'Aifa - risulta aumentato rispetto all'anno precedente nel quale i casi di gravità non definita rappresentavano solo 1% e costituisce un motivo di preoccupazione in quanto la distinzione tra grave e non grave ha una rilevanza sotto molti aspetti in primo luogo per le valutazioni sul caso specifico e per eventuali impatti sulla sicurezza". Secondo l'Aifa, inoltre, "non riuscire a classificare la gravità del caso è una conseguenza diretta di una carenza qualitativa importante della segnalazione stessa". Per quanto riguarda l'esito della reazione segnalata, è stato riportato: la risoluzione completa o il miglioramento in 3.200 casi, la risoluzione con postumi in 16 segnalazioni, la reazione invariata in 88 casi, l'esito non disponibile in 415 casi. L'esito fatale è stato riportato in 8 casi, con età maggiore di 60 anni, dei quali sei ultrasettantacinquenni. Ma come devono essere interpretati questi dati? Secondo l'Aifa quello che emerge da Rapporto è "da un lato il potenziamento nazionale e internazionale delle stesse attività e dall'altro la conferma di un quadro rassicurante in termini di sicurezza dei vaccini e la necessità di continuare e sviluppare in forma integrata gli interventi di monitoraggio". Tuttavia, se la sicurezza dei vaccini appare "stabile e sotto controllo, dall'esperienza acquisita, ma anche da riscontri in letteratura", emerge che "uno dei principali problemi legati ai vaccini è di tipo comunicativo, spesso frammisto a disinformazione reperibile via web". La comunicazione "trasparente e continua" sulla sicurezza dei vaccini, "soprattutto con gli operatori sanitari", rappresenta dunque - per l'Aifa - "una sfida quotidiana ed è di fondamentale importanza per fornire evidenze nella realtà pratica al fine di dare fiducia nelle vaccinazioni, evitando che timori infondati possano contribuire alla diffusione di malattie anche gravi". Articolo tratto da 'Quotidiano sanità'.

sabato 21 febbraio 2015

L' importanza del pesce nella dieta dei bambini

E’ un elemento importante nella dieta dei piccoli, “ma in media i bambini italiani mangiano pesce solo una volta a settimana, contro le tre volte raccomandate”. E’ quanto emerge da un’indagine condotta per l’Adnkronos Salute dal pediatra di Milano Italo Farnetani, che ha consultato medici, insegnanti e genitori. “Il fatto è che i bambini imparano ad amare o detestare il sapore del pesce fin nel pancione, attraverso il liquido amniotico materno. Se la mamma non lo mangia, per loro è qualcosa di estraneo. Sarebbe dunque bene incentivare il consumo di pesce anche durante la gravidanza”. Oltre all’odore, a respingere i più piccoli di solito “è la paura delle spine e il fatto che il pesce venga ‘mascherato’ da creme e salse: i bambini vogliono riconoscere ciò che mangiano”. Cosa fare, dunque, per insegnare ai bimbi ad amare questo prezioso alimento? “Un’idea interessante è quella avuta dall’amministrazione comunale di San Benedetto del Tronto, che ha deciso di legare l’esperienza divertente del mare e della spiaggia con quella alimentare”, dice il pediatra. Con il progetto ‘Sono sano come un pesce’, si sono alternate visite didattiche ai musei per entrare in contatto con l’ambiente marino in tutti i suoi aspetti, laboratori di preparazione e degustazione del prodotto ittico e tanti momenti di gioco e sano divertimento. Così la città ha fatto conoscere a grandi e piccoli non solo le caratteristiche della fauna che popola l’Adriatico, ma anche le ottime proprietà alimentari del pesce, insegnando a mamme e papà anche qualche segreto di cucina per far apprezzare ai bimbi il sapore del pesce fresco e di qualità. “Il ricordo di un’esperienza piacevole – assicura il pediatra – contribuirà a far amare questo alimento così salutare. Considerata poi la crisi, consiglio di riscoprire il ruolo delle alici nella dieta dei bambini: un tipo di pesce salutare ed economico. Le alici sono un tipo di un pesce ideale per i bambini perché si deliscano molto bene”. Per cucinare questo alimento ‘a misura di baby palato’, il pediatra suggerisce di ricorrere alla panatura, o alla preparazione di polpette. “E’ bene eliminare sempre la pelle ed evitare di aggiungere spezie colorate, per esempio rosmarino o prezzemolo, perché i bambini se notano un colore anomalo lo interpretano come corpo estraneo o qualcosa di cui diffidare”. Come eliminare le lische senza buttare via il pesce? “Il pesce può essere aperto a portafogli e prima della cottura (o anche dopo) si può asportare la spina centrale. Per certi pesci come l’acciuga, che ha la spina centrale, è sufficiente. Per altri, oltre alla spina centrale, che può essere rimossa con la modalità precedente, vanno tolte anche le spine laterali e ventrali. Questi ultimi due tipi però – raccomanda – vanno tolti assolutamente dopo la cottura, per evitare che il pesce si spezzetti”. In quest’ultimo caso si può cucinare il pesce spezzettato “facendo delle polpette, mischiando il pesce con pane e formaggio grattugiato e impastato con l’olio. Questa polpetta può essere fritta, e i bambini la apprezzeranno”.

sabato 14 febbraio 2015

Riduzione del consumo di antibiotici: verso un uso ragionato?

La riduzione del consumo degli antibiotici registrata dall’Agenzia del Farmaco nell’ultimo rapporto Osmed, è anche merito della creazione della Consensus Conference sull’impiego giudizioso della terapia antibiotica nelle infezioni delle vie aeree in età pediatrica. Non ha dubbi la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale che da anni si batte per l’uso giudizioso degli antibiotici. La Consensus Conference fornisce alcune indicazioni importanti per un utilizzo giudizioso degli antibiotici in età pediatrica anche per le famiglie attraverso la creazione di poster e depliant diffusi presso gli ambulatori dei pediatri. All’interno dell’area genitori del sito www.sipps.it è stata inoltre creata una sezione interamente dedicata ai quesiti più frequenti che ogni genitore si pone in merito a questo argomento. “Quando si utilizza una terapia antibiotica – spiega il Presidente SIPPS Giuseppe Di Mauro – non si devono mai dimenticare le eventuali reazioni avverse, così come l’incremento del fenomeno delle resistenze batteriche, associate proprio ad una eccessiva prescrizione di antibiotici, con un importante impatto sulla sanità pubblica”. “Gli antibiotici costituiscono un aiuto fondamentale nella lotta alle patologie infettive – sottolinea la Elena Chiappini, Componente del Consiglio Direttivo Nazionale SIPPS – ed il loro uso in maniera appropriata è senza dubbio utile a ridurre la diffusione di germi resistenti, oltre a porre una barriera all’incremento di costi e reazioni avverse”. “L’impegno della SIPPS non si ferma qui – conclude Di Mauro -. La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale non intende infatti abbassare la guardia e manterrà alta l’attenzione, impegnandosi seriamente ed in maniera seria e continuativa per proseguire lungo la strada dell’uso razionale degli antibiotici nelle infezioni respiratorie in età evolutiva”.

sabato 31 gennaio 2015

Probiotici per la prevenzione delle allergie

Bloccare l'insorgenza delle allergie nei bambini: la nuova frontiera nella lotta a una delle malattie croniche più diffuse al mondo si apre ufficialmente con l'Organizzazione Mondiale per le Allergie (WAO) che raccomanda, per la prima volta, l'uso dei probiotici come strumento di prevenzione. La validazione scientifica dei benefici per la salute di questi particolari microrganismi alimentari è contenuta nelle nuove linee guida internazionali per la prevenzione delle allergie, elaborate da un gruppo di lavoro coordinato dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Il documento, appena pubblicato sul WAO Journal, è stato presentato alla vigilia del Congresso internazionale "Allergie in età pediatrica: dal mito alla realtà - EBM prevention of pediatric allergy" promosso da WAO e Bambino Gesù, presenti i maggiori esperti mondiali del settore. Considerata la dimensione del fenomeno, l'Organizzazione Mondiale per le Allergie ha puntato l'attenzione sulle strategie per la prevenzione con un lavoro scientifico in tre fasi. Il primo passaggio è la pubblicazione delle linee guida sull'uso dei probiotici nella prevenzione dell'allergia, presentate in occasione del Congresso internazionale "Allergie in età pediatrica: dal mito alla realtà - EBM prevention of pediatric allergy" promosso a Roma il 29 e 30 gennaio. Le altre due tappe riguardano l'elaborazione delle raccomandazioni sull'uso dei prebiotici e della vitamina D nella prevenzione delle malattie allergiche. I lavori sono coordinati da Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e da Ruby Pawankar, past-president WAO e professoressa di Allergologia al Dipartimento di Pediatria della Nippon Medical School a Tokyo. I probiotici sono microrganismi vivi (presenti in molti alimenti comuni, come yogurt o latte fermentato) che possono apportare benefici alla salute quando somministrati in quantità adeguate. In qualità di immuno-modulatori della risposta allergica, nelle nuove linee guida vengono raccomandati - in determinate situazioni - come terapia preventiva delle allergie, soprattutto l'eczema. Le raccomandazioni suggeriscono di considerare l'uso di probiotici in tre categorie di persone: donne in gravidanza ad alto rischio di allergie nei loro figli (- 9% di eczema), donne che allattano bambini ad alto rischio di sviluppare allergie (- 15% di eczema) e bambini ad alto rischio di sviluppare allergie (- 5% di eczema). Queste raccomandazioni che valgono per la malattia allergica nel suo complesso (anche se formulate soprattutto sulla efficacia dei probiotici nella prevenzione dell'eczema), contengono anche una precisa valutazione dei risparmi ottenibili ricorrendo a questa strategia preventiva: riducendo mediamente del 9% il numero di eczemi, verrebbero risparmiati tra 150 e 300 euro l'anno ogni 100 candidati alla dermatite atopica. La stima è volutamente molto conservativa, perché contiene il costo delle visite ambulatoriali, ma non quello delle terapie né quello della perdita di giornate di scuola dei bimbi e di lavoro dei genitori. E' quindi concepita per essere usata in sistemi sanitari che erogano il costo della assistenza medica.

venerdì 30 gennaio 2015

Arrivata l'influenza!!

L'influenza 2014/2015 A-H1N1 si sta rivelando molto più complessa da gestire rispetto a quanto si era potuto credere in un primo momento. Si tratta di un virus molto aggressivo con una febbre altissima (al di sopra dei 39 gradi), che può durare anche cinque giorni. Insomma, un'ondata particolarmente violenta, favorita, secondo gli esperti, anche dal caos creato sui vaccini. Da questo punto di vista, come sottolinea il dott. Luigi Galvano, segretario regionale della federazione italiana Medici di famiglia, ci sarà da attendersi un numero di decessi connessi all'influenza 2014/2015 molto più alto rispetto agli anni scorsi. I sintomi dell'influenza 2014/2015 di tipo A-H1N1 sono del tutto simili a quelli di ogni infreddatura parainfluenzale. L'unico elemento che la differenzia è il deciso rialzo termico, che, per questo tipo particolare di ceppo virale, si attesterà intorno ai 39 gradi. Per il resto, si soffrirà di forti mal di testa e di tosse insistente, caratteristica peculiare saranno i dolori muscolari e ossei e ovviamente la rinorrea (comunemente: il naso che cola). I bambini invece potranno presentare sintomi a carico dell'apparato digerente con possibilità di vomito e diarrea. I medici non consigliano altro, per combattere i sintomi dell'influenza 2014/2015, che stare a letto ed a riposo. Un soggetto perfettamente sano, infatti, non ha nulla da preoccuparsi e può tranquillamente curarsi a casa. Il sintomo fondamentale dell'influenza stagionale 2014/2015 del ceppo A-H1N1 è la febbre alta. I medici insistono sul fatto che sia necessario controllare costantemente la temperatura, senza però abbatterla di colpo. La febbre non è altro che lo strumento che il nostro organismo utilizza per combattere il virus, dunque è assolutamente necessario che faccia il suo corso. Certo, non è consigliabile restare per molte ore con una febbre che eccede i 39 gradi, ma i medici sottolineano come non bisogni abusare del paracetamolo e che non occorrono assolutamente dosaggi alti. Per quanto riguarda gli antibiotici, bisogna sottolineare come, in un primo momento, non servano : l'influenza è un virus e non un batterio, dunque l'antibiotico non agisce. Si tratta soltanto di una copertura o di una cura per eventuali complicanze batteriche, ma è necessario chiamare il medico. Senza eccessivi allarmismi, l'influenza per l'inverno 2014/2015, come abbiamo già sottolineato, si cura tranquillamente a casa. Ci sono però categorie che potrebbero essere a rischio e, in quel caso, dopo un consulto con il proprio medico di famiglia, si può optare per un ricovero. I soggetti cosiddetti a rischio sono soprattutto coloro che hanno problemi respiratori, problemi cardio-vascolari e soprattutto diabete. La febbre può indebolire l'organismo e quindi, in questi soggetti, se non dovesse scendere dopo 4/5 giorni, il ricovero può essere consigliato.

domenica 25 gennaio 2015

Genitori ansiosi e sindrome di Munchausen

Spesso succede che quando portano i loro bimbi ammalati dal medico, lo specialista scopre che sono sani e che i disturbi sono inventati dalla mamma apprensiva. Lo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore- Policlinico universitario Gemelli di Roma rivela che spesso quando le madri portano i figli dal medico la patologia non viene diagnosticata e che talvolta i disturbi sono creati dalla mamma per troppa apprensione, secondo un fenomeno che i medici chiamano sindrome di Munchausen per procura. La ricerca pubblicata sul Journal of Child Health Care è giunta a queste conclusioni dopo aver preso in esame 751 bambini ricoverati nel Reparto di Pediatria del Gemelli tra fine 2007 e inizio 2010, e quasi nel 2% dei casi è stato individuato un cosiddetto disturbo fittizio. “Quasi sempre si trattava di disturbi inventati dal bambino stesso – spiegano gli esperti – Ed è chiaro che, quando una simile situazione conduce il piccolo fino a un ricovero, vuol dire che è necessario intervenire per dare una mano concreta al bambino e alla sua famiglia, considerando l’evento come chiara espressione di un disagio che trova nella sindrome la possibilità di esternarsi. Ma non è tutto: in 4 casi sono stati riscontrati i criteri per effettuare la diagnosi di sindrome di Munchausen per procura, cioè è stato un genitore, o entrambi, ad arrecare un danno fisico o psichico al bambino e indurlo a pensare di essere malato. In 3 casi su 4 si è trattato della madre”. “La sindrome di Munchausen – spiega Pietro Ferrara, coordinatore della ricerca dell’Istituto di Clinica pediatrica dell’Università Cattolica di Roma – è sempre più considerata nella letteratura scientifica come `malattia fabbricata da chi si occupa del bambino´, ma è una vera e propria forma di abuso nei confronti dei minori che può portare anche a esiti estremi quali la morte del piccolo. A livello scientifico internazionale la sindrome è ben riconosciuta. Ma in Italia, come d’altra parte in molti Paesi del mondo, si tratta ancora oggi di un fenomeno sottostimato e riconosciuto con difficoltà – avverte l’esperto – tanto che possono passare anche anni prima di giungere alla diagnosi corretta, cioè può trascorrere molto tempo tra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, con il rischio evidente di sottoporre il bambino a esami e terapie inutili o addirittura dannosi”. “È importante che – sottolinea Ferrara – quando il pediatra si trova di fronte a sintomi importanti e che durano da molto tempo senza una conferma laboratoristica e strumentale, pensi alla possibilità di questa patologia. Per accorciare i tempi della diagnosi – conclude il pediatra – sarebbe utile avere accesso in rete a informazioni sulla storia clinica del bambino, per esempio quante volte è stato ricoverato in altri ospedali, perché spesso le madri o chi inventa la malattia peregrinano da una struttura all’altra. È importante ovviamente, una volta riconosciuta la sindrome – conclude lo specialista - prestare aiuto oltre che al bambino anche alla madre stessa, garantendo un’assistenza psicologica adeguata”.

mercoledì 21 gennaio 2015

Esposizione dei bambini ai WiFi

Uno studio piuttosto controverso, ma che sta facendo il giro del mondo, suggerisce a mamme e papà di cercare di limitare l'esposizione della prole al Wi-Fi, per il timore che le radiazioni possano danneggiare la loro salute. Il rapporto, pubblicato sul 'Journal of Microscopy e Ultrastructure', sostiene che i bambini assorbono più radiazioni degli adulti. Per questo le insidie, per loro, sarebbero maggiori. I feti poi, stando al lavoro, sarebbero i più vulnerabili di tutti, tanto i ricercatori consigliano alle donne in attesa di non portare addosso, nei vestiti o in tasca, i telefoni cellulari. "I bambini assorbono più MWR rispetto agli adulti perché i loro tessuti cerebrali sono più 'assorbenti', i loro crani sono più sottili e la loro dimensione relativa è più piccola", si legge nel lavoro. Ma l'allarme non vede tutti d'accordo. La britannica Health Protection Agency sta monitorando da tempo la sicurezza la sicurezza del Wi-Fi. Secondo i dati i segnali radio emessi dai dispositivi hanno una potenza molto bassa. Dunque, riferisce il 'Daily Mail', sedere vicino a un dispositivo Wi-Fi per un anno equivale a ricevere la stessa dose di onde radio di una chiamata di 20 minuti al telefonino. Il neurologo pediatrico Maya Shetreat-Klein sottolinea comunque che "le donne incinte devono sapere che le radiazioni wireless possono avere un impatto sullo sviluppo del cervello" dei piccoli. I ricercatori hanno esaminato studi sull'esposizione ai telefonini dal 2009 al 2014, insieme ai dati sulle radiazioni da cellulari. I limiti di esposizione sono rimasti uguali per 19 anni, ma i produttori degli smartphone specificano la minima distanza dal corpo dei prodotti per non superare questi valori. Per laptop e tablet la distanza minima dal corpo è di 20 cm.