mercoledì 24 dicembre 2014

Giocattoli e norme UE....Natale sicuro!

A Natale solo giochi sicuri. E' l'invito rivolto dalla Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP) in vista delle festività. Ogni anno l'uso non corretto dei giocattoli o la loro non conformità agli standard di sicurezza è causa di ricorso alle cure e, in alcuni casi, espone i bambini a gravi conseguenze per la loro salute. Oltre al cibo che sotto forma di bolo alimentare può ostruire le vie respiratorie, a causare problemi può essere infatti sia l'inalazione sia l'ingestione di parti dei giocattoli, delle pile che li alimentano o dei magneti che li compongono con esiti anche gravi per l'organismo. L'inalazione e l'ingestione di un corpo estraneo sono eventi molto frequenti in età pediatrica, soprattutto nella fascia d'età compresa tra i 6 mesi e i 6 anni, con un picco di incidenza nei primi tre 3 anni di vita. E' un rischio che si moltiplica in occasione delle Feste, avvertono gli specialisti. "Occorre sempre essere attenti a ciò che si regala e vigili durante l'attività ludica dei bambini - spiega Antonio Urbino, Presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP) -, evitando l'acquisto di giochi che non rispettano le normative europee di sicurezza. I genitori devono sempre controllare che i giocattoli siano di qualità, con marchio CE, e verificare l'età minima di gioco scritta sulle confezioni. Ma - sottolinea l'esperto - è altresì importantissimo che siano informati sulle tecniche di disostruzione per poter prestare i primi soccorsi al bimbo in difficoltà". Se nella maggior parte dei casi di ingestione il corpo estraneo viene eliminato spontaneamente, in altri è necessaria la rimozione endoscopica e in alcuni addirittura un approccio chirurgico. Mentre nel caso di inalazione, l'ostruendo delle vie respiratorie può avere conseguenze anche molto gravi fino a determinare il soffocamento. "I giocattoli più pericolosi - ricorda Urbino - sono quelli sferici e quelli smontabili in piccoli pezzi che possono essere inalati dal bambino e provocarne il soffocamento. Se circa il 60% dei casi di soffocamento sono dovuti al cibo, il 40% dipende da altre cause tra le quali vanno ricordate l'ingestione di gomme da masticare, di monete e di parti dei giocattoli". Anche alcune parti di giocattoli all'apparenza innocui, come gli occhi dei peluches o le ruote delle macchinine, possono costituire un pericolo per il bambino perché facilmente inalabili. Non solo. Le pile, soprattutto quelle "a bottone" possono costituire un serio pericolo per la salute dei bambini, non tanto per il pericolo di soffocamento, ma quanto per le sostanze sprigionate che sono in grado di provocare danni seri in tempi brevi, con complicanze molto gravi come la perforazione dell'esofago e a volte persino letali. Fonte: askanews

martedì 25 novembre 2014

Aumento del Diabete Tipo I nei bambini

Un italiano su dodici. Cinque milioni di cittadini, di cui circa un milione non sa di averlo. È questa la stima dei malati di diabete nel nostro paese. La giornata mondiale, istituita dalla Federazione Internazionale Diabete e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, prevede numerose iniziative informative nei prossimi tempi.Perché combattere la disinformazione che persiste su questa patologia cronica aiuta la vita dei malati, in particolare dei bambini. La forma più grave e meno diffusa, il 5% di tutti i casi, è il diabete di tipo 1, patologia autoimmune che distrugge progressivamente le cellule del pancreas che producono l’insulina, condizione che si traduce in uno stato di iperglicemia e nell’impossibilità di utilizzare gli zuccheri come fonte di energia. I bambini. Il diabete di tipo 1 colpisce soprattutto i giovani e non è prevenibile con l’adozione di uno stile di vita sano. Oggi in Italia i malati sono 150mila, di cui 20-25mila hanno meno di 18 anni. L’incidenza è andata aumentando soprattutto in quelle aree e fasce di età dove prima il diabete era meno diffuso. Nei bambini fino a sei anni, l’aumento è stato del 20% negli ultimi dieci anni. «Non conosciamo le ragioni del fenomeno, ma i dati sono chiari» spiega Andrea Scaramuzza, responsabile del servizio di diabetologia della Clinica Pediatrica dell’Università di Milano presso l’Ospedale Luigi Sacco di Milano. «Guardando ai bambini con meno di 14 anni, i paesi scandinavi e la Sardegna – da sempre ad alta incidenza di diabete - si mantengono stabili con 40-50 nuovi casi all’anno ogni 100mila bambini, mentre l’Italia peninsulare è passata da 6-10 a 15-20 nuovi casi». Convivere con questa malattia cronica è possibile. Il bambino deve essere seguito da un’equipe composta da diabetologo, dietologo e psicologo, figura questa importantissima per sostenere sia i genitori che i bambini, ma spesso non ancora presente in tutti i centri. Da uno studio per la rilevazione del disagio che il piccolo e la famiglia si trovano a vivere dopo la diagnosi, cui anche il Servizio di Diabetologia dell’ospedale Sacco ha contribuito, è emerso che i più allarmati sono i genitori, preoccupati sia per la gestione della malattia, che richiede monitoraggio del glucosio ematico e iniezioni di insulina più volte al giorno, sia per le eventuali complicanze future che i figli potrebbero affrontare. I bambini, dal canto loro, sembrano soffrire di più per aspetti relazionali, come l’esclusione dal gruppo dei pari. «L’emarginazione e la discriminazione cui possono andare incontro i piccoli diabetici è frutto di ignoranza sulla patologia. Rivolta non solo ai cittadini ma anche ai medici di base.Oggi il 30% di nuovi esordi è di chetoacidosi, una condizione molto grave dovuta ad uno squilibrio insulinico elevato; sono 7 su 10 i bambini con meno di 6 anni che scoprono così di avere il diabete. Spesso tuttavia vi sono dei sintomi premonitori della malattia, come bere e urinare molto e perdere peso o avere difficoltà a crescere, ed è auspicabile una maggior allerta e prontezza nel riconoscerli immediatamente per evitare di arrivare a degli stadi così avanzati.Perché «i mezzi per compensare il disturbo dell’insulina esistono. I bambini possono condurre una vita normale e vivere i momenti importanti con i loro amici. Ma per combatterlo , bisogna conoscerlo. Fonte : La stampa

domenica 9 novembre 2014

Uovo: primato nella classifica delle allergie dei lattanti

L’uovo è in cima alla lista degli alimenti statisticamente più allergizzanti in età pediatrica, seguito da latte vaccino, pesce, frutta secca e grano. Ad affermarlo è la Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP), che sottolinea come l’uovo sia un ottimo alimento dai 5 mesi ai 15 anni, ma anche una della principali cause di allergia in questa fascia d’età. L’uovo viene solitamente introdotto durante lo svezzamento, ma in caso di allergia essa si può manifestare nella seconda metà del primo anno di vita, con un’età media di presentazione di 10 mesi e in particolare nei bambini sensibilizzati con dermatite atopica. “L’allergia all’uovo viene generalmente diagnosticata nel corso dell’infanzia e le manifestazioni cliniche, principalmente collegate a meccanismi di ipersensibilità allergica di tipo IgE mediata, possono essere anche gravi, fino allo shock anafilattico”, dichiara Roberto Bernardini, Presidente SIAIP e Direttore della UOC di Pediatria dell’Ospedale S. Giuseppe di Empoli. “In generale le prime manifestazioni compaiono entro 2 ore, solitamente entro 20-30 minuti dopo l’ingestione di uovo o di alimenti che lo contengono e si manifestano principalmente con reazioni cutanee caratterizzate da orticaria. Frequenti nel caso di allergie e da non sottovalutare - prosegue il Presidente SIAIP - sono anche le reazioni gastrointestinali con vomito e diarrea, nonché i sintomi respiratori con starnuti e respiro sibilante”. Inoltre, la SIAIP sottolinea che possono avere luogo anche reazioni da semplice contatto dell’uovo con la cute, che si manifestano con l’orticaria. Tuttavia alcuni bambini che presentano un’orticaria da contatto con l’uovo possono tranquillamente assumere cibi a base di uova senza manifestare alcuna reazione allergica. “Proprio per questo - conclude l’esperto - è importante rivolgersi fin da subito ad un pediatra allergologo per una diagnosi certa capace di evitare rischi per il piccolo e al tempo stesso diete di esclusione inutili e dannose”. Fonte: Quotidianosanità

mercoledì 5 novembre 2014

Cancro e Gravidanza

Nonostante il meccanismo non sia del tutto chiaro, i tassi d’incidenza del cancro associato alla gravidanza hanno subìto un vertiginoso aumento nell’ultimo decennio. Tra i vari fattori emersi, e che potrebbero avere un collegamento, vi è l’aumento dell’età delle madri. I numeri sono stati pubblicati sull’ultimo numero di BJOG, An International Journal of Obstetrics and Gynaecology, e si riferiscono a un largo studio australiano che ha visto il coinvolgimento di ben 781.907 donne in gravidanza, che hanno partorito tra il 1994 e il 2008 mettendo alla luce 1.309.501 bambini. Delle partecipanti sono stati analizzati i dati relativi alla diagnosi di cancro avvenuta durante il periodo di gravidanza o entro 12 mesi dal parto, per poi confrontarli con quelli relativi alle donne che non hanno avuto una diagnosi di questo genere. Le informazioni raccolte dai ricercatori hanno permesso d’individuare quasi 1.800 casi di tumore in gravidanza. Le statistiche hanno mostrato che nel periodo preso in considerazione il tasso d’incidenza cancro/gravidanza era aumentato in modo significativo. Allo stesso modo si è scoperto che l’età delle madri era aumentata nel tempo: le percentuale di mamme compresa tra i 35 anni e oltre era aumentata dal 13,2% al 23,6%. Queste percentuali, tuttavia, hanno indicato un’incidenza dell’età sul rapporto cancro/gravidanza del 14%. La considerazione di altri fattori di rischio, oltre all’età avanzata, come la storia familiare, il livello socio-economico, gravidanze multiple e altri non hanno permesso di trovare una spiegazione convincente a questa associazione. I ricercatori auspicano che, vista l’incidenza sempre maggiore del cancro in gravidanza, si possa informare sia il personale sanitario che le pazienti affinché si mettano in opera azioni preventive atte a diagnosticare per tempo i tumori. I più comuni di questi che colpiscono durante la gravidanza, o nei primi 12 mesi dal parto, sono il tumore della pelle (compreso il melanoma), il cancro al seno, i tumori della tiroide e altri tumori endocrini, i tumori ginecologici e linfatici. «Questo è un ampio studio e osserva dati contemporanei – ha spiegato la professoressa Christine Roberts, del Kolling Institute of Medical Research, University of Sydney, Nuovo Galles del Sud e co-autore dello studio – La tendenza delle donne a posticipare l’età della gravidanza ha sollevato preoccupazioni circa l’aumento dell’incidenza del cancro in gravidanza. Anche se l’età materna è stato un forte fattore di rischio per il cancro, questo aumento dell’età materna spiegato solo in parte l’aumento di incidenza del cancro». Quello che dunque resta chiaro in ogni caso è che vi è un costante e preoccupante aumento dei casi di cancro durante la gravidanza. A motivo di ciò è bene che le future mamme si tengano sotto controllo durante i nove mesi e anche nel primo anno di vita del bambino. Fonte :La stampa

sabato 25 ottobre 2014

Tablet...no grazie!

L’uso di tablet, app e schermi elettronici è sconsigliato prima dei 2 anni di età. Promossi giochi, film e app a misura di bambini più grandi ma con prudenza: meno di 1 o 2 ore al giorno, che includano il tempo che i piccoli passano avanti alla tv e con la supervisione della famiglia. Lo ricordano i medici dell’American academy of pediatrics (Aap) e concordano gli specialisti della Società italiana di pediatria (Sip). Malgrado le recenti revisioni, le ultime linee guida degli specialisti statunitensi che scoraggiavano l’uso dei media elettronici per i piccoli risalgono al 1999 e si riferivano a programmi tv, videocassette e dvd. «La cosa peggiore è negare ai bambini l’accesso al mondo digitale ma la seconda cosa, più pericolosa ancora, è di dargli un accesso illimitato» dichiara Donald Shifrin dell’Aap. Sottolinea Giovanni Corsello, presidente SIP: «I pediatri non vogliono demonizzare l’uso di tali dispositivi. Dai 2 anni in poi l’innovazione tecnologica permette di avere nuove opportunità. Va evitato l’abuso e serve la partecipazione attiva dei genitori nella scelta dei programmi. Prima dei 2 anni di età va preferita l’interazione umana allo stimolo virtuale».

domenica 19 ottobre 2014

Nuovi percentili di crescita

Nuove tabelle di crescita, ossia nuovi percentili! È il momento di aggiornarsi, tenendo conto dei nuovi stili di vita, delle mescolanze tra le razze e del fatto che la statura media della popolazione aumenta sempre di più. Gli scienziati della Oxford University, con due ricerche pubblicate su The Lancet, hanno messo a punto il primo metodo internazionale per valutare se lo sviluppo e la crescita dei 120 milioni di bambini che nascono ogni anno in tutto il mondo sia ottimale oppure no, a prescindere dall’etnia o dal Paese in cui nascono. I ricercatori auspicano che le nuove curve di crescita facciano maggiore luce sui problemi della malnutrizione e dell’obesità che colpiscono l’infanzia a livello mondiale. Il nuovo sistema rientra nel progetto – Intergrowth 21 – e sembra destinato a sostituire le attuali cueve in uso dei percentili che, sebbene siano state approvate dall’Organizzazione mondiale della sanità e si usino in decine di paesi, per alcuni aspetti sono troppo differenti tra di loro. Per questo motivo era necessario trovare tabelle percentili uguali per tutti. Vediamo cosa sono le tabelle dei percentili: sono parte di un sistema informatico che calcola la crescita, in peso e in statura, al terzo, decimo, 50esimo, 90esimo e 97esimo percentile, più il percentile è alto, più il bambino è superiore allo standard per statura e peso. Un bambino al 90 percentile per statura e al 50 per peso, per esempio, è alto e magro, mentre uno al 97 percentile per peso e al 90 per altezza è alto e robusto ma sovrappeso. Il concetto delle nuove tabelle non cambia, ma ci saranno nuovi standard di riferimento, basati su conteggi effettuati su 60.000 donne in gravidanza e più di 20.000 neonati provenienti dal Brasile, Cina, India, Italia, Kenya, Oman, Inghilterra e Stati Uniti. Per lo sviluppo fetale le misurazioni sono state fatte con gli ultrasuoni mentre ai neonati è stato misurato il peso, la lunghezza e la circonferenza della testa. La creazione di nuove tabelle di crescita è accolta con entusiasmo dai pediatri italiani che le considerano un grande passo avanti soprattutto nell’individuare prima e meglio gravidanze a rischio e bambini che nascono troppo piccoli o troppo grandi, sottopeso o in sovrappeso. Gli esperti sono convinti che il nuovo sistema potrà migliorare le condizioni di vita dei bambini di ogni angolo del mondo, da quelli nati ad occidente e spesso in sovrappeso a quelli denutriti dei paesi più poveri. Avere un sistema di misurazione universale e più preciso delle attuali e numerose tabelle si rivelerà utilissimo anche quando si tratterà di misurare i piccoli pretermine o scovare patologie prima della nascita. Il nuovo metodo valuta in modo più dettagliato rispetto alle attuali curve di percentili le variazioni fetali. Tutto questo consentirà di adottare prima i trattamenti necessari per seguire gravidanze difficili e assistere meglio i piccoli in difficoltà. Le nuove tabelle si potranno anche usare per controllare lo sviluppo fetale prima della nascita e alla nascita senza alcuna connotazione differenziata sull’area geografica. Si tratta di riferimenti universali e questo è di grande rilievo perché sarà possibile svolgere studi nel mondo finalmente confrontabili fra loro, oggi molto difficili da realizzare perché i dati sono raccolti in modo difforme fra loro. per leggere l'abstract dello studio del lancet cliccare: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25209487 a>

giovedì 9 ottobre 2014

Si gioca poco con i figli!!

I bimbi italiani giocano da soli. Su 10 genitori, appena 4 condividono con i figli questo momento di crescita e di svago che spesso viene 'delegato' ai nonni: è con loro, infatti, che cresce il 64% dei piccoli del Belpaese. Lo sottolinea la Fondazione Movimento bambino, che promuove 3 incontri sull'importanza del gioco nella relazione fra grandi e piccini. Il primo questa sera al Muba-Museo dei bambini di Milano con la psicoterapeuta Maria Rita Parsi. Seguirà un appuntamento a Roma, il 30 ottobre presso Explora-Museo dei bambini, e un altro a Napoli, il 6 novembre alla Città della Scienza-Officina dei piccoli. All'evento milanese partecipano anche Elena Dondina, presidente della Fondazione Muba; Elisabetta Scala, vice presidente nazionale del Moige; Francesca Valla, la 'Tata Francesca' della tv; Maurizio Fusina, architetto e performer. Il messaggio a mamme e papà e che basta poco: "Ritagliarsi un momento di gioco con i propri figli quando si torna dal lavoro o prima di andare a letto, per stabilire quell'abitudine che rimarrà nel tempo, anche nell'adolescenza. Perché giocando s'impara, anche a farlo". Crescere è impossibile se non si gioca. Nella relazione genitore-figlio attraverso il gioco, la triade" bimbo-mamma-papà "è destinata ad allargarsi e a comprendere a poco a poco anche gli oggetti. Oggetti che fungono da stimolo per la naturale creatività del bambino. Giocando - aggiunge la psicoterapeuta - il bambino costruisce con la fantasia una realtà tutta sua in cui mettere in scena le cose importanti, tutte le sue emozioni e, specie quando può contare sulla presenza amorevole e competente dei genitori, fare finta, nei giochi della prima infanzia, di essere un papà o una mamma". "I genitori sono i primi punti di riferimento per i bambini - avverte Parsi - Potremmo dire che il gioco inizia dall'allattamento, nell'ambito della diade madre-bambino. A poche ore dalla nascita il bambino volge la bocca verso il batuffolo di cotone che è intriso del latte materno, dimostrando di essere in grado di riconoscerlo in mezzo a tutti gli altri. Per i bambini, la prima identificazione avviene sempre con la madre". Ma poi "con la presenza del padre, che si inserisce nel gioco di sguardi, di carezze e di coccole tra la madre e il suo bambino, la diade si trasforma in triade". "La relazione con il padre è determinante per l'indipendenza e per l'apprendimento - ammonisce la psicoterapeuta - Uno dei principali compiti del padre nei primi anni di vita del bambino consiste proprio nel permettere al figlio di stabilire un contatto con la realtà esterna, considerando che il rapporto con la madre si basa invece sulla dipendenza e sull'incapacità, da parte del piccolo, di soddisfare i suoi bisogni primari".

domenica 28 settembre 2014

Farmaci in classe

Soffrono di asma o diabete, sono malati di epilessia, hanno allergie che li possono esporre a uno choc anafilattico. E per questi motivi a scuola potrebbero avere bisogno di cure, per rispettare le prescrizioni della normale terapia o per un’emergenza: secondo una rilevazione Istat del 2013 su oltre 21mila scuole primarie e secondarie di primo grado, ogni anno ci sono oltre 5mila bambini e ragazzini che hanno bisogno della continuità delle cure durante le ore di lezione e si registrano poco meno di 7mila richieste di interventi per la somministrazione di farmaci in circostanze critiche, a cui si aggiungono oltre 1500 emergenze che una volta su due richiedono l’arrivo dell’ambulanza a scuola (per lo più per epilessia, asma o allergie). In teoria le regole per la somministrazione dei medicinali a scuola ci sono e sono chiare: i genitori di un bimbo con una patologia cronica che abbia bisogno di ricevere farmaci in classe presentano la richiesta del medico e si ottiene il nullaosta. Il problema sta nel trovare chi, nella pratica, aiuterà il piccolo ad assumere la terapia: se è vero che nel 44% dei casi affrontati alle elementari è il personale della scuola a farsene carico e che un buon 18% di piccoli se la sbriga da solo, c’è tuttora un 21% di mamme e papà che devono entrare in classe per praticare un’iniezione al figlio o per fargli usare un inalatore. Le percentuali cambiano al crescere dell’età: fra i ragazzini delle medie il 41 % si somministra da solo il farmaco, il 29% conta sull’aiuto del personale scolastico e solo il 12% deve fare riferimento ai genitori. Ma c’è uno 0,6-0,9% di studenti che non è capace di far da sé e non ha qualcuno che possa aiutarlo. Per di più, il 30% di chi somministra i farmaci non è formato per farlo. «La legge prevede che ci sia un responsabile per i problemi sanitari presso la scuola, ma non è obbligato alla somministrazione di farmaci per urgenza o per problemi cronici a meno di assumersene direttamente la responsabilità - spiega Giuseppe Di Mauro, presidente SIPPS -. Per fortuna i casi complessi sono una minoranza e se si tratta di dare un antipiretico, un antibiotico, di far inalare un farmaco per una crisi di asma quasi sempre sono gli insegnanti a occuparsene: spesso basta che i genitori discutano con il corpo docente le esigenze del bambino perché tutto scorra liscio». «L’impressione è che la situazione sia a macchia di leopardo: in alcune Regioni la collaborazione fra scuola, pediatri e famiglie funziona, in altre stenta molto - osserva Sergio Bernardini, direttore della Clinica Pediatrica del Policlinico Universitario di Parma -. I farmaci per la continuità delle cure dovrebbero essere somministrati da un pediatra di comunità o da un infermiere della Asl che si rechino negli istituti scolastici dove c’è bisogno di questo servizio. Nella pratica, non sempre succede e molto ricade sulle famiglie o i piccoli pazienti. Perciò, insegnare l’autogestione della patologia resta un cardine fondamentale per stare bene, anche se naturalmente non si può chiedere a un bambino della materna o delle elementari di essere autonomo nella terapia. Questo è realisticamente possibile solo dai nove, dieci anni in poi. Nel caso del diabete, ad esempio, vediamo che se bambini e genitori sono ben seguiti dai medici e si instaura una buona collaborazione con gli insegnanti, spiegando loro in che cosa consiste la malattia e che cosa potrebbe accadere, la patologia viene vissuta senza sentirsi diversi dagli altri ed è raro che servano interventi in emergenza». Quello della formazione e della consapevolezza degli insegnanti è un punto nodale, come spiega Giuseppe Mele presidente dell’Osservatorio Paidòss: «La preparazione è fondamentale, anche e soprattutto per le emergenze. Gli insegnanti dovrebbero sempre sapere come si fa un’iniezione di insulina o come si gestisce un attacco epilettico, ma anche come intervenire in caso di soffocamento o per una rianimazione cardiopolmonare: oggi invece non esiste alcun obbligo in merito e magari si formano maestri e professori sulla giusta composizione di un pasto. Utile, certo, ma per preparare menu adatti ai bambini bastano i dietisti della Asl». «Invece, sarebbe ad esempio indispensabile dotare obbligatoriamente le scuole di un defibrillatore automatico - aggiunge Francesco De Luca, direttore della Cardiologia pediatrica dell’Ospedale Universitario Vittorio Emanuele di Catania -. Bastano poche ore per imparare a gestire un’emergenza cardiologica attraverso corsi per gli insegnanti: per prevenire i casi di morte improvvisa sui campetti da gioco sarebbero assai più utili di qualsiasi screening». «Sulla gestione delle malattie croniche molti docenti sono ben preparati, in tutta Italia; l’emergenza è invece un punto critico - conferma Giorgio Longo, responsabile dell’Unità di allergologia, dermatologia e trattamento dell’asma all’Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo di Trieste -. Nel caso di una crisi allergica grave, ad esempio, molto si può ancora migliorare per far sì che i bambini abbiano garantito l’accesso alla “penna” con adrenalina da iniettare per via intramuscolare, indispensabile contro lo choc anafilattico. Tutto passa anche in questo caso da una buona formazione di maestri e professori che, evidentemente, è ancora più facile a dirsi che a farsi». Da Corriere della Sera

venerdì 19 settembre 2014

Pellicce di animali come culla riducono rischio di asma

Culle di pelliccia amiche del respiro dei bebè. Se nei primi 3 mesi di vita il bimbo dorme a contatto con il pelo di animali, crolla di quasi l'80% il rischio di avere l'asma a 6 anni e del 40% la probabilità di soffrirne a 10. Lo studio, presentato a Monaco di Baviera al congresso della Società europea di malattie respiratorie (Ers), promuove la moda di 'tappezzare' lettini, carrozzine e passeggini con pelli di pecora bio: non solo morbide, calde d'inverno e fresche d'estate, ma anche sane. Christina Tischer e colleghi dell'Helmholtz Zentrum Munchen Research Centre, che al meeting dell'Ers hanno presentato una ricerca condotta su quasi 2.500 bambini tedeschi sani seguiti fino all'età di 10 anni confermano questi dati. Più della metà del campione analizzato (55%) aveva dormito 'pelle contro pelo' nel primo trimestre di vita. E all'età di 6 anni il rischio di asma risultava ridotto del 79%. Un risultato che si inserisce nel filone della cosiddetta 'teoria dell'igiene': troppa pulizia aumenta il pericolo di asma e allergie, mentre il contatto con agenti esterni come alcuni microbi presenti sul pelo animale accende le difese immunitarie. "Studi precedenti hanno suggerito che germi trovati in ambienti rurali possono proteggere dall'asma", ricorda Tischer. "Il pelo animale può essere un serbatoio per varie tipologie di microrganismi", riproducendo quindi l''effetto campagna'. Gli studiosi ritengono "cruciale" approfondire l''ecosistema microbico' che abita le pellicce "per confermare questa associazione". European Lung Foundation. "Sleeping on animal fur in infancy found to reduce risk of asthma." ScienceDaily. ScienceDaily, 8 September 2014.

mercoledì 10 settembre 2014

Linee guida dell'American Academy per la lettura

Negli USA l'American Academy of Pediatrics ha deciso di introdurre nelle linee guida per i pediatri, anche l’indicazione per i neogenitori a leggere le fiabe ai propri bambini, sin dalla nascita e per almeno i primi tre anni di vita. Le favole per bambini diventano quindi una vera e propria prescrizione medica finalizzata allo sviluppo psicofisico ottimale del bimbo. Queste nuove indicazioni sono il risultato dell’abuso di tablet e smartphone nell’educazione dei piccoli americani, i quali vengono lasciati troppo spesso soli con questi strumenti tecnologici ad alto tasso di intrattenimento ma privi della corretta e reale interazione genitore-figlio. Le favole per bambini lette da mamma e papà, infatti, stimolano l’area del cervello deputata a comunicazione verbale e socializzazione. Questa importante funzione cerebrale si sviluppa proprio nei primi tre anni di vita ed è responsabile dell’apprendimento di un vocabolario corretto da parte dei più piccoli, nonché dell’acquisizione di modalità sane e vivaci di socializzazione. Perché tutto ciò sia possibile, bisogna andare oltre la tecnologia ovvero tornare indietro, alla “voce reale” e alla lettura non virtuale. Considerato che anche in Italia si sta assistendo a questa pericolosa sostituzione tablet-voce dei genitori, i pediatri italiani hanno deciso di seguire le stesse indicazioni educative dei colleghi d’Oltreoceano: mamme e papà vanno spronati da subito a quest’antica ma essenziale abitudine, peraltro incredibilmente dolce, calmante e soddisfacente sia per i grandi lettori sia per i piccoli ascoltatori.

lunedì 21 luglio 2014

Poliomelite ancora attuale...

Vent’anni fa la poliomielite sembrava in via di eradicazione, grazie soprattutto alla vaccinazione orale col metodo di Sabin; oggi si assiste invece ad un ritorno del virus, e l’Organizzazione Mondiale della sanità ha lanciato un allarme nello scorso mese di maggio. Tre stati in particolare (Pakistan, Siria e Camerun) hanno un controllo insufficiente della malattia e sono esportatori del virus, mentre altri sette stati presentano una diffusione, per ora confinata, del virus. L’eradicazione del poliovirus è più complessa di quella del vaiolo, per ora l’unico successo completo delle nostre pratiche vaccinali su scala mondiale. Esistono due diversi vaccini, uno sviluppato da Jonas Salk e basato su virus ucciso, l’altro preparato da Albert Sabin e basato su virus vivo ma attenuato. Il primo non ha effetti avversi ed è quello correntemente usato in tutti i paesi nei quali la malattia è stata eradicata (Italia inclusa), ha il difetto di non prevenire l’infezione intestinale da poliovirus, ma solo le sue complicanze neurologiche (la paralisi); come conseguenza non può essere usato per l’eradicazione, perché non impedisce la permanenza del virus nell’ambiente. Il secondo previene sia l’iniziale infezione intestinale, che le sue possibili conseguenze neurologiche, ma ha alcuni effetti avversi: in primo luogo rilascia nell’ambiente virus vivi che possono ridiventare capaci di causare paralisi, per mutazione; in secondo luogo il virus attenuato, se somministrato a bambini con difetti immunitari congeniti può causare una infezione diffusa, anche mortale. I paesi nei quali il virus è ancora endemico sono paesi che hanno situazioni interne gravi o disastrose, e dai quali i cittadini emigrano o fuggono: e se non vaccinati, esportano virus della poliomielite in paesi nei quali la malattia era stata in precedenza eradicata, e nei quali una parte della popolazione è vaccinata con il vaccino di Salk, quindi è recettiva ad ospitare temporaneamente il virus nell’intestino e quindi a mantenerlo nell’ambiente. Il mondo, purtroppo, è piccolo e ciò che accade in un paese, anche apparentemente lontano, ha ripercussioni su scala globale. Per questo l’Oms ha richiesto ai paesi a rischio un maggiore impegno nella lotta alla poliomielite; ha inoltre richiesto l’obbligo di vaccinazione per tutti i viaggiatori diretti ai paesi nei quali il virus è presente. In un recente editoriale della rivista Nature si sostiene che queste misure non siano sufficienti e che la lotta alla poliomielite deve essere condotta nelle zone di endemia, mentre la vaccinazione dei viaggiatori sarebbe di scarsa efficacia. Purtroppo nelle zone dove la poliomielite è endemica, la mortalità infantile è molto elevata per cause diverse dalla polio: in queste zone la lotta contro la poliomielite viene vista come richiesta e voluta dagli “altri” (i paesi ricchi), a discapito di necessità sanitarie più urgenti ed immediate e spesso la cooperazione locale con le campagne di vaccinazione è scarsa. La poliomielite, come altre malattie infettive, potrebbe tornare anche in Italia, importata da un paese ad alta endemia. L’eradicazione della poliomielite in Pakistan o in Camerun è un nostro primario interesse, che noi tendiamo a dimenticare perché da moltissimi anni la paralisi infantile è scomparsa dal nostro paese, ma tutti bambini del mondo hanno diritto a questo beneficio e anche i nostri non sono al sicuro. Tratto da: il fatto quotidiano.it

sabato 12 luglio 2014

I grassi nei disturbi gastrointestinali

Omega 3 grandi alleati per chi soffre di disturbi gastrointestinali. Lo affermano due recenti ricerche, presentate a Stoccolma dall'Issfal, la Società internazionale per lo studio di grassi e lipidi. A sottolineare l'importante risultato è Assitol, l'Associazione italiana dell'industria olearia. In particolare, le prove sperimentali effettuate in laboratorio hanno rivelato che l'introduzione nella dieta dei cosiddetti “grassi buoni” - soprattutto di Epa e Dha – favorisce l'attività della flora intestinale e, in particolare, dei batteri anti-infiammatori, che combattono con successo disturbi cronici come la colite. Gli Omega 3, in altre parole, aiuterebbero le difese già presenti nell'organismo a debellare i problemi di origine gastrointestinale. Tale fenomeno è stato osservato dai ricercatori dell'Università della British Columbia (Canada) anche nell'ambito di un regime alimentare ricco di grassi saturi. Al riguardo l'Issfal, in una nota di presentazione delle ricerche, ha sottolineato come “assumere i grassi 'giusti' sia ancora più importante del loro quantitativo totale nella dieta quotidiana”. La scoperta è significativa perché, come stigmatizzano entrambe le ricerche, è ormai accertato che i disturbi gastrointestinali cronici, anche di lieve entità, possono favorire l'insorgere di malattie dell'intestino molto più serie, come il morbo di Crohn. Gli studiosi americani della Harvard Medical School e Massachussets Generale Hospital, in tal senso, hanno suggerito che, “in certe condizioni di salute, è addirittura consigliabile un alimento arricchito con un'alta concentrazione di Omega 3”. Ed è di questi giorni la pubblicazione di un'indagine sull'American Journal of Clinical Nutrition, che dimostra la facilità di assorbimento degli stessi Omega 3 da parte dell'organismo umano se sono di origine vegetale. Fonte: agroalimentarenews.com

sabato 5 luglio 2014

Lutto della madre e rischio di Obesità infantile

Uno studio danese ha esaminato casi di bambini che, non ancora nati da madri esposte a grave stress , tipo un lutto , hanno più probabilità di altri di crescere in sovrappeso o obesi, anche se lo stress si è verificato tempo prima della gravidanza. I bambini, i cui padri biologici sono morti mentre erano nel grembo materno hanno due volte più probabilità di diventare obesi da adulti, a causa dello stress che la madre ha generato con il lutto, hanno affermato i ricercatori danesi. Ma i bambini hanno ugualmente un aumento del rischio di diventare obesi o di essere soprappeso da adulti, se le loro madri sperimentato la morte di un parente stretto fino a sei mesi prima della loro concepimento. La risposta di una madre allo stress apparentemente ha effetti a lungo termine sul bambino che porta in grembo, ha detto l'autore dello studio Carsten Obel, professore associato di salute pubblica presso l'Università di Aarhus, in Danimarca. "Che lo stress materno può influenzare lo sviluppo del sistema dello stress fetale sembra abbastanza plausibile", ha detto Obel. "Cortisolo - il prodotto finale del sistema dello stress - influenza il deposito di grasso, e se questo ormone è rilasciato precocemente nella vita fetale può divenire un fattore di sviluppo di obesità." I ricercatori hanno basato le loro conclusioni sulle cartelle cliniche di quasi 120.000 uomini danesi nati tra il 1976 e il 1993 e successivamente esaminate per il servizio militare tra il 2006 e il 2011. Per esaminare gli effetti dello stress, si sono concentrati sugli uomini nati da madri che hanno perso un parente stretto poco prima o durante la gravidanza. Parenti stretti compresi i loro partner, un altro figlio, un fratello o genitori della madre. In generale, gli uomini avevano un rischio del 15 per cento più elevato di essere in sovrappeso se le loro madri sperimentato la morte di un parente stretto nei mesi prima del concepimento. Avevano un rischio del 13 per cento più elevato di essere in sovrappeso se un parente stretto era morto mentre erano nel grembo materno. I ricercatori non hanno trovato alcuna associazione tra adulti sovrappeso o obesi e stress di una madre che lo ha vissuto dopo la nascita del suo bambino. Questo ultimo studio, pubblicato online recentemente sulla rivista PLoS ONE, aggiunge una pila crescente di prove che lo stress, prima e durante la gravidanza può avere un impatto a lungo termine sulla salute del bambino in età adulta, ha detto il dottor Youfa Wang, presidente di epidemiologia presso la Scuola di sanità pubblica e Professioni Sanitarie presso l'Università di Buffalo a New York. Wang asserisce che "Se le madri sono sotto stress psicofisico, questo può condizionare l'interscambio di nutrienti e sostanze biochimiche tra la madre e il feto". Questa interazione può influenzare lo sviluppo e la funzione degli organi futuro del bambino. Tuttavia, è difficile dire quanto intenso lo sforzo deve essere potente per avere un effetto su un feto in via di sviluppo, ha ribadito Obel Inoltre, gli esperti sottolineano che questa ricerca non prova che il dolore durante la gravidanza predispone un nascituro all'obesità.Ma che ci sono molti altri fattori corresponsabili del soprappeso o dell’obesità. Per leggere l'articolo originale Cliccare: http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/news/fullstory_147036.html

sabato 28 giugno 2014

Cefalee nei bambini: Studio multicentrico della SIP

“Ha un profondo impatto sui risultati scolastici, secondo alcune ricerche è la prima causa di assenza da scuola, con circa 7-8 giorni persi all’anno e interferisce anche con le attività quotidiane, eppure la cefalea nei bambini è poco considerata, anche dai genitori: il 36% di essi infatti non sa che il figlio ne soffre”, afferma Pasquale Parisi, Responsabile del Centro Cefalee Pediatriche della Cattedra di Pediatria di “Sapienza” – Università di Roma, presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma. La cefalea è un disturbo comune in età pediatrica ed è causa anche di frequenti accessi al Pronto Soccorso. Circa il 49% della popolazione pediatrica manifesta almeno un episodio di cefalea, il 4,2% ne soffre per più di 10 giorni al mese. La fascia più colpita è quella dai 12 anni in su. “Il disturbo è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 30 anni anche a causa del netto cambiamento nello stile di vita dei nostri ragazzi”, aggiunge il professor Parisi. “Oltre alla predisposizione genetica disturbi del sonno, scarsità di ore destinate al riposo, ma anche l’uso eccessivo di videogiochi, tv, tablet e smartphone possono essere in parte responsabili dell’aumento dei casi. A questi si aggiungono fattori emotivi, ansia e stress. L’emicrania vede una netta prevalenza genetica, mentre nella cefalea ‘tensiva’ l’aspetto psico-emotivo è dominante”. “Tutto ciò rende urgente implementare la ricerca di settore e di conseguenza rivedere le Linee guida per la diagnosi e la terapia della cefalea in età pediatrica, secondo criteri di Evidence Based Medicine”, prosegue ancora Parisi. A confermare questa necessità è uno studio di prossima pubblicazione presentato per la prima volta al Congresso Italiano di Pediatria che ha coinvolto 11 centri italiani afferenti alla Società Italiana di Neurologia Pediatrica. Nello studio è stato utilizzato AGREE II, uno strumento epidemiologico standardizzato che valuta l’adeguatezza delle Linee guida, pertanto “per la prima volta possiamo sostenere su base scientifica la necessità di questa revisione. Occorre inoltre rafforzare la ricerca pubblica e indipendente pervalutare l’efficacia dei farmaci nella popolazione pediatrica, ancora poco studiata”. “Prima di fare una diagnosi chiediamo al bambino o ai genitori di compilare un ‘diario del mal di testa’ per circa 3 mesi. Spesso infatti la cefalea si manifesta in maniera occasionale, in corrispondenza di una infezione delle vie aeree superiori o di un episodio banale febbrile. Se si tratta di eventi episodici utilizziamo una terapia di ‘attacco’, ma se la cefalea si presenta per almeno 4-5 giorni al mese con compromissione della vita quotidiana usiamo un approccio preventivo, una profilassi, per evitare che il disturbo “cronicizzi” prosegue Parisi. È opportuno rivolgersi a un centro specialistico quando c’è familiarità, specialmente di forme aggressive e cronicizzate nei genitori, quando il disturbo è frequente ed impatta negativamente sugli aspetti scolastici e “ludici” del bambino-adolescente”. La cefalea può essere ‘primaria’ se dalle indagini strumentali ad hoc non si sia individuata una causa organica del dolore, o secondaria se conseguente a cause come malattie, infezioni, traumi. Queste ultime ammontano a circa il 40-50% dei casi, ma quelle veramente pericolose sono intorno all’1-3% e vanno sottoposte al vaglio del centri specialistici. Esiste infine, anche se molto rara, la cefalea “insidiosa”, apparentemente benigna ma che nasconde patologie che possono minacciare la vita del piccolo paziente. “È molto difficile riconoscerla”, spiega Raffaele Falsaperla, Direttore UOC di Pediatria e PS Pediatrico Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Vittorio Emanuele Catania, “perché è apparentemente innocua, in quanto si manifesta in bambini affetti da cefalea cronica che non presentano segni neurologici tali da destare allarme e che normalmente vengono classificati in Pronto Soccorso come codici bianchi o verdi. L’esame del fondo oculare può essere uno strumento utile per scovarla”. Cefalea: i consigli della SIP per genitori e adolescenti 1) Evitare quanto più possibile i fattori scatenanti la cefalea, quali dormire poco, avere stili di vita scorretti (fumo, alcol), essere eccessivamente esposti agli stimoli visivi (computer, smartphone ecc.). 2) Prestare attenzione ai segnali di esordio precoce atipico, come torcicollo, dolori addominali. Se intercettati precocemente si può fare la diagnosi di cefalea e quindi migliorare la qualità della vita del bambino. 3) In caso di attacco acuto somministrare tempestivamente la terapia prescritta dal pediatra perché se si aspetta troppo il farmaco rischia di essere inefficace. 4) Quando ci sono segnali come cambio di umore o se il bambino cammina male, vede male e parla male rivolgersi a un centro specialistico. 5) Pensare a una profilassi quando gli episodi sono numerosi e inficiano qualità vita del paziente e della famiglia. Tratto da SIP

lunedì 23 giugno 2014

Età pediatrica a 18 anni??

Innalzare fino al diciottesimo anno di età la soglia per accedere alle cure pediatriche. E’ quanto chiede il senatore del Nuovo Centro Destra, Salvatore Torrisi, in un disegno di legge presentato oggi in Senato.”L’adolescenza - spiega il senatore - è un periodo cruciale, è proprio a questa età che si manifestano comportamenti a rischio. Tali condotte errate, se non sono affrontate in modo adeguato, oltre ad esporre l’adolescente a precoci rischi per la salute, possono concorrere, nell’età adulta, all’instaurarsi di stili di vita pericolosi per il singolo e per la collettività. Proprio per questa peculiare criticità si rendono necessarie politiche organizzativo-assistenziali che siano maggiormente adeguate e funzionali”. “Il pediatra, in questo contesto, può essere la figura più indicata per soddisfare le richieste di salute dell’adolescente, proprio in funzione delle sue caratteristiche professionali, che gli permettono di essere lo specialista di una fascia d’età più che di patologie di un apparato. La pediatria di famiglia rappresenta un’importate risorsa del Servizio sanitario Nazionale per poter affrontare i problemi dell’adolescente ed è quindi opportuno prevedere che la competenza assistenziale del pediatra in Italia si protragga oltre il 14° anno di età, e per specifiche patologie oltre il compimento dei 16 anni, fino a raggiungere i 18 anni. Come, peraltro, in ambito scientifico, la European accademy of pediatrics e la Confederation of european specialists in pediatrics richiede, definendo le cure pediatriche come ‘l’assistenza medica degli individui durante la crescita e fino al compimento dello sviluppo, cioè dalla nascita a 18 anni” - conclude il senatore Torrisi. Fonte Agenzia Parlamentare

martedì 10 giugno 2014

Cautela con i "generici" in età pediatrica

''Cautela e prudenza nell'uso dei farmaci generici in pediatria. La ricerca in tale settore deve ancora fare dei passi in avanti. La farmacologia pediatrica ha ancora carenze sulla sperimentazione di alcuni farmaci nei bambini e in particolar modo per il generico''. Cosi' ammonisce Roberto Bernardini, Presidente della Societa' Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP) e Direttore della Unita' Operativa Complessa di Pediatria dell'Ospedale San Giuseppe di Empoli. Infatti, osserva, sebbene i generici possano garantire un risparmio economico al servizio sanitario nazionale e alle famiglie, devono essere messi sempre al primo posto la sicurezza dei piccoli pazienti, in particolare in una fascia delicata come quella dell'infanzia, e la efficacia del farmaco. ''La cautela sui generici - spiega Bernardini - riguarda prima di tutto il dosaggio, poiche' nei farmaci equivalenti la legge consente uno scostamento nella concentrazione di principio attivo sino al 20% rispetto al farmaco di marca''. Inoltre ''nell'ambito del farmaco generico emerge un secondo problema: la mancanza di conoscenza dell'interazione tra principio attivo ed eccipienti. Essendo nel generico la quantita' di eccipiente diversa e spesso maggiore rispetto a quella presente nel farmaco di marca, cio' potrebbe favorire sia una reazione da ipersensibilita' agli eccipienti sia una reazione allergica al principio attivo''. ''Sebbene queste ad oggi siano solo ipotesi - precisa Bernardini - in quanto assenti studi in tal senso, non si possono comunque correre rischi sull'infanzia: servono dunque sperimentazioni che ne garantiscano la sicurezza ed efficacia''. Il piccolo paziente, infatti, ''non e' un piccolo adulto, in quanto maturazione epatica e metabolismo non sono sovrapponibili a quelli dell'adulto. Cio' comporta una diversa biodisponibilita' del farmaco tra bambini ed adulti legata anche ad una diversa interazione tra principio attivo-eccipienti nei generici e nel farmaco di marca fino ad ora usato'' Fonte:ASCA

sabato 7 giugno 2014

Vergognoso!!!!

Con tutti i problemi che abbiamo in Italia e in Europa, qualcuno, che viene definito "esperto" ha il coraggio di redigere documenti del tipo di seguito descritto.Sperando che sia una falsa notizia riporto l'articolo dal liberoquotidiano.it.Intanto No comment!!! La masturbazione sarà promossa in tutte le scuole materne ed elementari d’Europa come forma di educazione sessuale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), di comune accordo con l’agenzia governativa tedesca per l’Educazione sanitaria, sta infatti diffondendo presso tutti i ministeri della Salute e dell’Istruzione d’Europa un documento, chiamato «Standard di Educazione Sessuale in Europa», che invita a una maturazione della consapevolezza sessuale già nei primissimi anni di età, attraverso una conoscenza del proprio corpo e un’esplorazione delle relazioni sessuali - sia etero sia omo - infantili. Il testo, redatto da diciannove esperti, è rivolto a «responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie» e rappresenta una sorta di vademecum per guidare i bambini verso una piena crescita sessuale nel periodo compreso tra 0 e 15 anni. Nelle 83 pagine del documento vengono definite le varie fasce d’età e, per ciascuna, stabiliti gli obiettivi da raggiungere e i relativi compiti dell’insegnante. Ai bimbi dagli 0 ai 4 anni, si legge, «gli educatori dovranno trasmettere informazioni su masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel “gioco del dottore”». Dai 4 ai 6 anni i bambini dovranno invece essere istruiti «sull’amore e le relazioni con persone dello stesso sesso», «parlando di argomenti inerenti la sessualità con competenza comunicativa». La vera crescita avverrà coi bimbi tra i 6 e i 9 anni, cui i maestri terranno lezioni su «cambiamenti del corpo, mestruazioni ed eiaculazione», facendo conoscere loro «i diversi metodi contraccettivi». Su questo aspetto i bambini tra 9 e 12 anni dovranno già avere ampia competenza, diventando esperti nel «loro utilizzo» e venendo informati su «rischi e conseguenze delle esperienze sessuali non protette (le gravidanze indesiderate)». Ecco il decisivo balzo in avanti: nella fascia puberale tra i 12 e i 15 anni gli adolescenti dovranno acquisire familiarità col concetto di «pianificazione familiare» e conoscere il difficile «impatto della maternità in giovane età», con la consapevolezza di «un’assistenza in caso di gravidanze indesiderate e la relativa «presa di decisioni» (leggi aborto). Non solo: a quell’età, ormai matura secondo l’Oms, i ragazzi dovranno essere informati sulla possibilità di «gravidanze anche in relazioni omosessuali» e sull’esistenza del sesso inteso come «prostituzione e pornografia», venendo messi in guardia «dall’influenza della religione sulle decisioni riguardanti la sessualità». Il protocollo diffuso dall’Oms lancia anche un monito affinché «l’educazione sessuale venga effettivamente realizzata in termini di luoghi, tempi e personale», sebbene non occorra una preparazione ad hoc della classe docente e «gli insegnanti di educazione sessuale non siano professionisti di alto livello». Queste direttive sono già state recepite a livello comunitario nella risoluzione Estrela votata giorni fa al Parlamento europeo e ora in discussione in Commissione. Nel testo presentato dall’europarlamentare socialista Edite Estrela, la masturbazione viene infatti indicata come metodo di educazione sessuale, prendendo atto del fatto che «i ragazzi più giovani sono esposti, sin dalla più tenera età, a contenuti pornografici soprattutto su Internet». Il rapporto Estrela, inoltre, invita l’Ue a «prevenire le gravidanze indesiderate» e a garantire «il diritto d’aborto», combattendo «l’abuso dell’obiezione di coscienza» da parte del personale sanitario. Contro questa risoluzione si sono schierati numerosi europarlamentari, tra cui l’italiano Sergio Silvestris (Pdl), che coi loro emendamenti hanno determinato un rinvio e un riesame del testo in Commissione. Intanto anche contro il documento dell’Oms si sta sollevando un’opposizione della società civile: sia la fondazione CitizenGo sia il sito hatzeoir.org stanno raccogliendo firme per fermare la diffusione del testo, definito «corruttore dell’integrità e della salute dei minori».

giovedì 22 maggio 2014

Meccanismi dell'Autismo

Uno studio multicentrico statunitense sostiene che una disorganizzazione dell'architettura corticale in epoca prenatale potrebbe essere responsabile della malattia.Studio originale che cerca di far luce sulla genesi di una patologia che da anni è al centro dell'attenzione per la cattiva informazione creatasi intorno ad essa. Per leggere l'Abstract dell'articolo cliccare qui: http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1307491

giovedì 15 maggio 2014

Choosing wisely- Scegliere con saggezza

Il 35-40% dei ragazzi in età pediatrica presenta un’allergia che può essere alimentare, respiratoria (asma bronchiale e oculorinite), da farmaci, da veleno di imenotteri oppure da lattice; ma oltre il 30% dei bambini che vengono considerati allergici non lo sono realmente. Ad affermarlo, è la Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP), presieduta dal Professor Roberto Bernardini. Nell’ottica dell’appropriatezza diagnostico-terapeutica in materia di allergologia pediatrica, la SIAIP ha approvato un documento relativo allo ‘choosing wisely’ (‘scegliere con saggezza’), che indica cosa fare, ma soprattutto cosa non fare in questo campo per la salute del bambino. Un documento predisposto dalle Commissioni SIAIP, elaborato dal Consiglio Direttivo e dalla Presidenza della Società Scientifica, che ogni pediatra dovrebbe avere sulla sua scrivania per poter subito capire cosa non deve fare nelle più comuni patologie immuno-allergologiche”. Un’iniziativa, quella dello “choosing wisely”, insieme alle altre messe in campo dalla SIAIP, che ha lo scopo di realizzare un percorso diagnostico-terapeutico e preventivo in ambito immuno-allergologico, al fine di evitare una non appropriatezza nella diagnosi-terapia e nella prevenzione in ambito della immuno-allergologia pediatrica. Ecco i 16 consigli praticidettati dal documento: 1. NON controindicare le vaccinazioni 2.NON escludere un alimento dalla dieta solo per la presenza di IgE specifiche. 3. In caso di sospetta allergia alimentare NON eseguire test privi di validazione scientifica. 4. In bambini affetti da orticaria acuta NON eseguire di routine test allergologici. 5. NON diagnosticare una rinite come allergica senza una correlazione clinica con il tipo di sensibilizzazione per inalanti 6. Nel bambino con rinite allergica NON ritardare la terapia appropriata e, se i sintomi non sono controllati, utilizzare anche steroidi nasali e immunoterapia specifica. 7. Per i bambini allergici ai pollini si consiglia di ridurre l'esposizione allergenica 8. NON eseguire una dieta di eliminazione senza controllare la crescita e l’aspetto nutrizionale. 9. NON protrarre la dieta di eliminazione senza valutare periodicamente l’eventuale acquisizione della tolleranza. 10. Non prescrivere l’immunoterapia allergene specifica nel paziente con asma non controllato o precedenti di Anafilassi con l’immunoterapia specifica. 11. Nei bambini con dermatite atopica favorire l’allattamento al seno (senza dieta materna) per i primi sei mesi di vita. 12. Nei bambini con dermatite atopica considerare gli emollienti come il presidio base ma non aver paura di utilizzare lo steroide topico ai primi segni di ricaduta. 13. NON somministrare mucolitici in bambini con asma bronchiale. 14. NON fare il “pomfo di prova” per diagnosticare l’allergia ai medicinali. 15. NON “etichettare” il bambino come allergico a un farmaco solo sulla base del sospetto diagnostico. 16. NON prescrivere sempre esami in caso di Infezioni Respiratorie Ricorrenti. Per scaricare il documento cliccare il link: http://www.siaip.it/upload/1723_Choosing%20wisely.pdf

domenica 4 maggio 2014

Mamma, ho qualcosa in gola...

Ogni anno si contano 300 casi tra bambini e adolescenti fino a 14 anni di età, la seconda causa di morte accidentale tra i bimbi da 0 a 4 anni. Parliamo delle cose che i bambini metteno in bocca (caramelle, pezzi di frutta troppo grossi, pezzetti di giocattolo, palloncini ecc.) e danno soffocamento. Un bambino al giorno rischia di morire per un boccone andato di traverso e per questo la Federazione italiana medici pediatri (Fimp) ha dato vita nel 2013 a una task force di 100 pediatri che hanno avuto il compito di istruire in un corso ,genitori, nonni, babysitter e insegnanti sulla prevenzione e la gestione dell’emergenza-soffocamento in dieci regole. “Tra gli incidenti domestici – spiega Giuseppe Mele, presidente Fimp – l’inalazione di corpo estraneo è un evento tuttora ai primi posti tra quelli che avvengono nei primi anni di vita. Accade perché i bambini piccoli hanno la tendenza a portare alla bocca tutti gli oggetti che li interessano, perché spesso corrono mentre mangiano, perché ancora masticazione e deglutizione non sono perfettamente coordinate. Basterebbe però sapere che cosa fare e che cosa non fare quando un bambino dà segni di soffocamento per evitare una tragedia che colpisce 50 famiglie ogni anno: i presenti devono certamente chiamare aiuto, ma devono essi stessi, prima dell’arrivo di un soccorso specializzato, essere in grado di praticare le manovre salvavita basilari per la disostruzione perché ogni minuto, ogni secondo è prezioso”. Difatti è una delle più grandi paure dei genitori e una delle più frequenti domande nel corso delle visite periodiche, soprattutto nei primi due anni di vita del pargolo. Ecco le 10 regole: 1. Non dare ai bambini cibi solidi prima che siano in grado di masticarli e deglutirli, facendo attenzione soprattutto a caramelle e cioccolatini 2. Non lasciare alla portata dei bambini, se non sono sorvegliati da un adulto, oggetti piccoli che potrebbero incuriosirli: bottoni, perline, spille, monete, giocattoli od oggetti grandi che possano essere smontati in piccole parti 3. Acquistare giocattoli a norma, adatti per l'età dei figli, facendo attenzione che non si possano rompere o smontare in parti troppo piccine: per i bambini con meno di 10 mesi la sagoma dell'oggetto non deve essere inferiore a 30x50 millimetri, per i bimbi con meno di 3 anni il diametro deve superare i 31,7 millimetri 4. Se avviene un incidente, non farsi prendere dal panico, ma chiamare subito i soccorsi, sia facendo accorrere persone eventualmente nei paraggi che telefonando al 118 5. In attesa di aiuto, praticare le prime manovre di soccorso; in caso di dubbi, si può restare al telefono con l'operatore del 118 per avere precise indicazioni sul da farsi 6. Se il bambino ha più di tre anni, si deve sistemare leggermente prono in avanti con la testa verso il basso; quindi si danno 5 colpi decisi con il palmo della mano sulla schiena, in zona centro-laterale 7. Se così non espelle il corpo estraneo, si deve praticare la cosiddetta manovra di Heimlich: sistemare un pugno sopra l'ombelico, circondarlo con l'altra mano e spingere verso l'interno e in alto contemporaneamente per aumentare la pressione interna al torace e facilitare l'espulsione. La sequenza di colpi alla schiena e manovre va ripetuta fino all'arrivo dei soccorsi. 8. Se il bambino è piccolo cambia la posizione di intervento: ci si deve sedere sistemando il bimbo a faccia in giù sulle gambe, dando colpi sulla schiena dal centro verso l'esterno. Poi deve essere posto su un piano rigido praticando compressioni toraciche simili al massaggio cardiaco. Mai metterlo a testa in giù, perché non ci sono evidenze di efficacia. 9. Se la vittima è incosciente, bisogna aggiungere la rianimazione cardiopolmonare ovvero fasi di respirazione bocca a bocca alternate a un massaggio cardiaco 10. Una volta superata l'emergenza è comunque consigliabile sottoporre il bimbo a un controllo medico, per verificare ad esempio che non vi sia una polmonite ab ingestis provocata dal corpo estraneo rimasto nelle vie aeree.

mercoledì 30 aprile 2014

Fate la nanna!!

In una recente intervista rilasciata dal pediatra Eduard Estivill al quotidiano spagnolo El pais,nalla quale ammette che il suo noto metodo per far dormire i bambini non si può applicare al di sotto dei 3 anni perché i ritmi del sonno sono ancora immaturi e perché interferirebbe con la buona riuscita dell’allattamento al seno. Un’affermazione giustamente condivisa già da tempo a livello internazionale riguardo a tutti i protocolli basati sulle tecniche di “estinzione” almeno nei lattanti sotto i 6 mesi. Estivill è l’Autore di un fortunato libretto per genitori che servirebbe a insegnare loro un metodo per far dormire il loro piccolo (l’età non ha importanza in questo caso: si può iniziare secondo l’Autore anche appena tornati a casa dopo la nascita) “per tutta la notte”, ignorando le sue richieste e i suoi pianti per tempi crescenti (con rigorosa tabella dei minuti da seguire) fino a che si sia abituato ad addormentarsi da solo. In realtà il metodo esisteva già da una decina d’anni con il termine di “estinzione graduale” (laddove l’estinzione si riferisce al comportamento indesiderato, ossia il richiamo per il risveglio notturno del bambino e il bisogno di addormentarsi in compagnia) e prima ancora era stato diffuso dal pediatra americano R. Ferber fin dal 1985 (prese il nome di “ferberizzazione”). A parte le parasonnie (sonnambulismo, incubi ecc.), le insonnie di origine “medica” (asma, dermatite atopica, dolore cronico), i disturbi respiratori nel sonno e le insonnie in comorbidità con patologie neuropsichiatriche, cosa sia da considerare patologico a riguardo del sonno nel bambino è ancora da scoprire. Ci si riferisce, in questo caso, ai bambini in età prescolare, in particolare da 0 a 3 anni di vita. In sintesi, nel tempo sono stati considerati patologici aspetti diversi anche comportamentali che sono entrati a fare parte dei criteri diagnostici delle classificazioni internazionali; esse però stentano a diventare punti di riferimento unanimemente accettati, tant’è vero che in quasi nessuno studio si fa riferimento a tali criteri diagnostici. Uno dei punti chiave è proprio la mancanza del consenso sulla definizione di “caso”. Gli ultimi studi sui trattamenti comportamentali assumono come unico criterio quello soggettivo dato dal genitore.Cioè è il genitore che in seguito al pianto del bambino, ha il sonno disturbato. Intanto c’è da considerare che gli studi sui “valori normali” di durata del sonno e il numero di risvegli notturni nei piccoli non sono molti e mostrano una notevole variabilità nel tempo e nello spazio. E comunque, come per i percentili auxologici, ogni bambino ha la sua storia del sonno, influenzato da fattori genetici, ambientali. Va sottolineato, per meglio comprendere la portata del problema, che le incidenze dei DS – termine con cui, per semplificare, si indicano genericamente la difficoltà ad addormentarsi da soli (DA) e i risvegli notturni con richiamo (RN) – sono molto varie nel panorama mondiale, oscillando dallo 0 al 46%, maggiori a carico delle società industrializzate vecchie (USA, Francia, Australia) e nuove (Cina), e, nell’ambito delle società multietniche, nei gruppi di etnia occidentale caucasica.Tornando al disturbo del sonno genitoriale, laddove il sonno del piccolo crei dei problemi percepiti come tali dai genitori (anche a causa della discrepanza tra fisiologia infantile e aspettative socio-culturali), scatta l’incasellamento in categorie patologiche e la ricerca di una conseguente “terapia” per eliminare il disturbo. Allo stato attuale non ci sono evidenze (né sull’efficacia né sulla sicurezza) sufficienti per promuovere indiscriminatamente i protocolli comportamentali di tipo “estinzione” per la risoluzione dei comuni problemi di sonno dei bambini in età prescolare. La loro applicazione nei singoli casi dovrebbe essere valutata attentamente in relazione alla corretta diagnosi di DS e al contesto psicologico e familiare del bambino, sapendo che nella maggioranza dei casi essi vanno incontro a risoluzione spontanea. I bambini maggiormente a rischio di DS persistenti hanno spesso uno stile di attaccamento insicuro-ambivalente, che rende tali metodi difficilmente applicabili e prevedibilmente fallimentari (importante ricercare la presenza di depressione/ansia genitoriale). Oltre alla “presa in carico” della famiglia da parte del pediatra e alla conoscenza della normale fisiologia ed evoluzione del sonno infantile, già di per sé sufficienti in molti casi e di documentata efficacia, anche preventiva, quando usati come guida anticipatoria, si possono consigliare strategie più confortevoli e supportate da evidenze psico-biologiche, fondate sul supporto a una genitorialità responsiva (conforto fisico/co-sleeping a richiesta, e/o routine piacevoli prima del sonno) che lascino alla famiglia la scelta della modalità più congeniale per gestire il sonno dei piccoli. Fonte: Gruppo di studio sui disturbi del sonno dell' ACP

martedì 15 aprile 2014

Alluminio nel latte

Secondo i risultati di un test condotto dall’Istituto nazionale del consumo francese i neonati ingeriscono più alluminio di quanto previsto dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). In più della metà dei campioni analizzati (47 di cui 38 in polvere e 9 di crescita), infatti, è stata riscontrata una presenza di alluminio superiore fino al 30% del valore limite. L’Istituto francese ha riscontrato un contenuto medio di 153 microgrammi di alluminio per litro. “I nostri risultati - scrivono i francesi - indicano una contaminazione eccessiva di alluminio nei latti infantili”.

martedì 8 aprile 2014

SIMPe e Ministero della salute

Creare una maggiore consapevolezza sui rischi derivanti dalle attività di balneazione, come l’annegamento, e dalle dipendenze come le ludopatie. È questa la finalità del protocollo d’intesa siglato oggi tra Ministero della Salute e la, Società italiana medici pediatri (SIMPe) - giovane società scientifica accreditata presso la Fism - che apre le porte allo sviluppo di progetti di comunicazione volti alla corretta informazione su tematiche che assumono un particolare rilievo tra i bambini e gli adolescenti. “Il nostro obiettivo – ha detto Giuseppe Mele, presidente della SIMPe – è il miglioramento della salute dell'infanzia, dell'adolescenza e della famiglia. Per questo ci stiamo impegnando a formare una classe di pediatri moderni, informati attraverso dati e statistiche raccolti sul territorio e dediti al self auditing in piena ottemperanza al decreto Balduzzi. E grazie alla piattaforma Pediasystem, che funge da strumento di autoanalisi per la categoria e ricerca di dati, saremo portatori attivi delle campagne di comunicazione avviate con il Ministero”. Con il protocollo d’intesa siglato oggi la SIMPe collaborerà anche alla campagna di comunicazione “Salva una vita” a cura della Fnomceo, per informare e sensibilizzare la popolazione sugli strumenti e le tecniche di primo soccorso. Fonte: quotidianosanità

sabato 29 marzo 2014

Dieta della madre e prematuri

Una dieta a base di frutta, vegetali, prodotti di grano integrale e alcuni tipi di pesce potrebbe ridurre il rischio di avere gravidanze premature. Sono queste le conclusioni a cui e' giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Universita' di Goteborg, Svezia, e pubblicato sulla rivista British Medical Journal. I risultati dell'indagine hanno mostrato che le donne con una dieta in gravidanza piu' ''sana'' avevano circa il 15 per cento di rischio in meno di avere un parto pretermine rispetto a quelle che avevano una alimentazione molto meno salubre. La correlazione sussisteva ancora al netto di altri dieci fattori di rischio conosciuti per il parto prematuro. A detta dei ricercatori, si tratta della prima volta che viene evidenziato un legame statisticamente significativo fra sane abitudini alimentari e una ridotta probabilita' di avere parti prematuri. http://www.sciencedaily.com/releases/2014/03/140304210159.htm

mercoledì 26 marzo 2014

Novità sulle meningiti: test rapido di identificazione

Un prelievo di 3 millilitri di sangue venoso per scoprire, in poche ore invece che in giorni, la ‘carta d’identita” genetica del batterio killer che sta minacciando la vita del bambino. Per la diagnosi precoce di sepsi e meningite batteriche nel neonato e nel lattante, al Policlinico di Milano è in arrivo un test salvavita. La tecnologia, del valore complessivo di circa 100 mila euro, sarà disponibile dal 1 dicembre presso l’Unità operativa complessa di Pediatria 1 della Clinica De Marchi-Fondazione Policlinico. “E’ uno strumento che offriamo per primi in Lombardia e in generale in Nord Italia”, precisa in un incontro con la stampa Susanna Esposito, a capo della Uoc. Il servizio sarà attivato dall’Irccs di via Sforza grazie alla generosità dei 120 benefattori. La clinica De Marchi avrà così “uno strumento preziosissimo – spiega Esposito – che ci consentirà di superare uno dei problemi maggiori che si incontrano nell’affrontare una sepsi (presenza persistente di batteri nel sangue) e una meningite, ovvero il tempo di identificazione dei germi ‘invasori’. In mezza giornata al massimo – stima la pediatra – sarà possibile codificare il Dna del batterio responsabile, contro i 3-4 giorni necessari con le tecniche tradizioniali che fra l’altro rischiano di produrre falsi negativi”. Soprattutto in caso di infezioni gravi come quelle ‘stanate’ dal nuovo test ultra-rapido, il tempo è vita: “Una volta fatta la diagnosi, “sarà possibile avviare immediatamente la terapia antibiotica più indicata per il caso specifico”.

giovedì 13 marzo 2014

Anche i bambini "sentono" la crisi..

''Preoccupazione'' dei pediatri Fimp per i dati diffusi dalla Uil Lazio che evidenziano un peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie laziali. I numeri destano tanto piu' preoccupazione quando ad essere coinvolti sono nuclei familiari composti non solo da adulti, ma anche da bambini costretti a farne le spese. ''La crisi colpisce soprattutto le famiglie con bambini - spiega Teresa Rongai, Segretario della FIMP Roma - obbligate, loro malgrado, a fare scelte non sempre ottimali per la salute e il benessere dei piu' piccoli. La crisi non risparmia innanzitutto il carrello della spesa. Non si tratta tanto di rinunciare alle merendine - prosegue Rongai - ma quanto di far venire meno quei valori nutrizionali, dati da alcuni alimenti, necessari al corretto sviluppo del bambino ''. Ma non solo. ''Assistiamo - prosegue Rongai - ad un calo delle visite specialistiche richieste da noi pediatri di famiglia, specie quelle odontoiatriche. I costi dei ticket per le visite ambulatoriali rappresentano oggi un vero problema per le famiglie in crisi''. ''Non a caso - conclude Rongai - oggi i Pronto Soccorso sono intasati per accertamenti diagnostici e spesso non per casi gravi''. Fonte : ASCA

lunedì 10 marzo 2014

Un milione di bambini.....

 Dei 6,6 milioni di bambini che ogni anno muoiono prima di aver compiuto 5 anni, quasi la metà - 2,9 milioni - sono quelli che hanno perso la vita nel periodo neonatale, entro cioè i primi 28 giorni dalla nascita. Tra questi, 1 milione di bambini muore nel primo giorno di vita, "spesso il più pericoloso a causa di nascite premature e complicazioni durante il parto - come ad esempio travaglio prolungato, pre-eclampsia ed infezioni - e spesso perché le loro madri - ben 40 milioni ogni anno - partoriscono senza aiuto qualificato. Un altro milione e 200 mila bambini nascono già morti ogni anno perché il loro cuore smette di battere durante il travaglio. Due milioni di donne sono completamente sole quando danno alla luce il loro bambino". Questi alcuni dati diffusi oggi in tutto il mondo da Save the Children con il rapporto 'Ending Newborn Deaths', nell'ambito della campagna globale Every One, per dire basta alla mortalità infantile, a cui oggi ha aderito anche l'attrice Eva Riccobono. "Nell'ultimo decennio sono stati compiuti enormi passi avanti per contrastare la mortalità infantile, passata da 12 milioni a 6,6 milioni, grazie a un intervento globale che ha visto come protagonisti le vaccinazioni, i trattamenti per polmonite, diarrea e malaria, così come la pianificazione familiare e la lotta alla malnutrizione. Ma questo percorso è ormai giunto ad una fase di stallo, se non si interviene immediatamente per contrastare la mortalità neonatal", ha dichiarato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. "Se in Europa 1 neonato su mille muore nel periodo neonatale, in Africa o in alcune parti dell'Asia il rapporto è almeno 5 volte tanto. Il Pakistan è il Paese con il più alto tasso di neonati che muoiono il primo giorno o durante il travaglio (40,7 su mille nati), seguito dalla Nigeria (32,7) e dalla Sierra Leone (30,8)", sottolinea il rapporto di Save the Children, che evidenzia come "l'assistenza specializzata durante il travaglio e il parto e la tempestiva gestione delle complicazioni, da sola, potrebbe prevenire circa il 50% della mortalità neonatale e il 45% di bambini nati morti intra-partum. Nell'Africa subsahariana, il 51% dei parti non è assistito e nell'Asia sudorientale la percentuale è del 41%". La percentuale di parti che avvengono alla presenza di personale specializzato "varia molto tra aree rurali e aree urbane, con percentuali che si attestano rispettivamente al 40 e al 76%". "In Etiopia, ad esempio - viene rilevato - solo il 10% delle nascite avvengono in presenza di personale specializzato, mentre in alcune aree rurali dell'Afghanistan c'è solo 1 ostetrica per 10.000 persone. In India, mentre il tasso di mortalità neonatale riferito al 20% più abbiente della popolazione è di 26 neonati morti ogni mille nati, quello riferito ai più poveri è di 56 su mille". In Paesi come la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, "le madri devono pagare per le cure di emergenza legate al parto, che spesso hanno lo stesso costo del cibo per un mese. In alcuni casi, alcune madri sono state trattenute fino a quando non sono state in grado di pagare per il loro taglio cesareo urgente". "Il primo giorno della vita di un bambino è il più pericoloso", ha commentato Eva Riccobono, attrice che ha aderito, anche come futura mamma, alla campagna globale di Save the Children per combattere la mortalità infantile. "Sentiamo storie orribili di madri che camminano per ore durante il travaglio per cercare un aiuto, madri che partoriscono da sole, sul pavimento della loro casa o in un cespuglio senza l'aiuto di nessuno che possa salvare la loro vita e quella del loro bambino. Tutte storie che troppo spesso finiscono in tragedia. Tutto questo è assurdo e ognuno di noi deve sentire l'imperativo morale di fare qualcosa. Molti di questi decessi potrebbero essere evitati se solo ci fosse qualcuno per assicurare che la nascita avvenga in modo sicuro e che sappia cosa fare in caso di emergenza". "I nuovi dati diffusi oggi rivelano per la prima volta il reale impatto della mortalità neonatale", continua Neri. "Le soluzioni esistono e sono conosciute, ma c'è bisogno di una reale volontà politica per dare a questi bambini una possibilità di sopravvivere, che agisca innanzitutto sulle disuguaglianze. Senza azioni immediate e mirate, il percorso per abbattere la mortalità infantile si arresterà". Il fatto che alcuni Paesi abbiano compiuto significativi miglioramenti nella riduzione della mortalità neonatale "testimonia che esistono delle strade percorribili per arrestare questa strage silenziosa: tra il 1990 e 2012, Egitto e Cina sono riusciti a registrare un declino delle morti neonatali del 60%, mentre in Cambogia, una delle nazioni più povere del mondo, si è avuto un decremento del 51%". Save the Children invita i Governi, i grandi donatori e il settore privato "ad impegnarsi nel 2014 su un programma volto ad apportare un cambiamento reale, basato su cinque impegni per combattere la mortalità neonatale: assumere un impegno chiaro con obiettivi verificabili, che consenta di salvare ogni anno oltre 2 milioni di neonati e dei 1,2 milioni di bambini che muoiono durante il travaglio; impegnarsi affinchè, entro il 2025, ogni nascita sia seguita da operatori sanitari formati ed equipaggiati che possano offrire interventi sanitari essenziali ai neonati e alle loro madri". Tra le richieste di Save the Children, "aumentare la spesa destinata alla salute per arrivare all'obiettivo di almeno 60 dollari a persona previsto dall'Organizzazione mondiale della sanità; investire nella formazione, l'equipaggiamento e il sostegno di operatori sanitari, assicurare la gratuità dei neonati e ai bambini, così come quelle materne gli interventi ostetrici di emergenza; il settore privato, comprese le società farmaceutiche, dovrebbe contribuire ad affrontare i bisogni insoddisfatti, sviluppando soluzioni innovative e aumentando la disponibilità, per le madri, i neonati e i bambini più poveri, dei prodotti già esistenti e ideandone nuovi". Fonte:

venerdì 7 marzo 2014

Un no alle false illusioni

No "a chi vende false illusioni" e si' "a terapie autenticamente certificate" quando in gioco c'è l'infanzia da tutelare. A lanciare il messaggio da Montecarlo i pediatri e i medici di medicina generale, nell'ambito di una Consensus conference multidisciplinare durante la quale e' nata la Whisper (World health initiative for social pediatric education and research) associata all'Association Monegasque pour le perfectionment de connaissances des medicines. "Da sempre bambini e famiglie cercano cure miracolose, penso che succederà anche in futuro- dice Alfonso Delgado Rubio, direttore della Clinica pediatrica dell'Università San Pablo - Ceu di Madrid - credo che si debba essere molto esigenti, i ministeri non dovrebbero permettere terapie che non hanno alcun tipo di certezza scientifica". Tra le proposte principali della "neonata" Associazione quella di Guido Fanelli, presidente della Commissione dolore e cure palliative presso il ministero della Salute, in merito all'eliminazione di una tassa di registrazione europea per gli oppiodi ad uso pediatrico nell'ambito della terapia del dolore, pari a 50mila euro per ogni Stato; "un costo, che a fronte di un numero esiguo di popolazione, dissuade le aziende da questo investimento" (in Italia ad esempio sarebbero interessati 11mila bimbi, per i quali l'unica alternativa terapeutica e' la morfina per via orale ndr), la realizzazione di un calendario vaccinale che accompagni la persona per l'intera vita e non solo durante l'infanzia, la creazione di un "dossier della salute" nel trasferimento dell'adolescente dal pediatra al medico di base, in modo che il nuovo medico possa conoscere tutta la sua storia clinica, e l'inserimento in Europa, nelle bottiglie di alcolici, del messaggio "bere in gravidanza fa male al bambino che deve ancora nascere". Infine, spiega Giuseppe Mele, presidente di Paidoss, Osservatorio sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza, Whisper lavorerà "per incidere sulle autorità regolatorie perché sempre più farmaci siano sperimentati sui bambini". Fonte:ANSA

giovedì 6 marzo 2014

Fimp e liberalizzazione delle vaccinazioni

La Federazione italiana dei medici pediatri (Fimp) "auspica da sempre il superamento dell'obbligo vaccinale per i 4 vaccini anti-polio, tetano, difterite ed epatite B, considerando tale vincolo appartenente a realtà socio sanitarie del passato e preferendo la scelta consapevole e sopratutto l'omogeneità su tutto il territorio nazionale delle migliori e attuali raccomandazioni in tema di vaccini". Ma, come già espresso dalla Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Siti) in un documento ufficiale, anche il sindacato "valuta con apprensione la proposta di legge lombarda" sul tema depositata dal Movimento 5 Stelle. La Fimp, in riferimento alla proposta di legge lombarda, aggiunge che "gli sforzi formativi e informativi di questi anni puntano a definire come raccomandati tutti i vaccini presenti nel Calendario nazionale, perché offrono al minore, e non solo, le migliori opportunità di prevenzione verso malattie infettive e patologie tumorali, finalizzate alla tutela della salute". Sulla presentazione del certificato vaccinale all'atto di iscrizione in comunità di un minore, Fimp precisa che questo aspetto è "già di fatto superato". Ma "ci consente di rilanciare invece la proposta di rendere pubbliche in ogni istituto scolastico le notifiche delle percentuali di bambini frequentanti immunizzati per le malattie prevenibili da vaccino. Questo al fine di garantire la frequenza alle stesse dei bambini che per propria grave patologia, acquisita o congenita, non possono essere loro stessi vaccinati e che sono a grave rischio di complicanze a fronte di un contagio da compagni di scuola non immuni".) A preoccupare, spiega la Fimp in una nota, non è tanto la sospensione dell'obbligo richiesta per la Lombardia, "anche se si preferirebbe un'iniziativa ministeriale e non modalità localistiche, ma alcuni aspetti" del provvedimento. "Nel 'razionale' che la precede e la spiega - ricorda la Fimp - si fa riferimento a eventuali risparmi derivanti dal non uso di vaccini 'facoltativi', nonché al rischio sanitario a essi collegato, smentiti in realtà dalla comunità scientifica". Il sindacato dei pediatri, si legge nella nota, "ha fortemente appoggiato la scelta della Regione Veneto vigente da oltre 3 anni di sospensione dell'obbligo tramite la capillare attività dei singoli pediatri di famiglia e di chi li rappresenta all'interno delle istituzioni". Non solo: la Fimp "ha approvato con grande soddisfazione il varo del Piano nazionale vaccini 2012-2014", anche per il "forte messaggio alle regioni di uniformità nelle raccomandazioni vaccinali che ha messo la parola fine a un federalismo vaccinale incongruo, pericoloso e ingiusto". Fonte: Adnkronos Salute

domenica 2 marzo 2014

Latte e sesso...del bambino

Allattare al seno fa bene sia alla salute del bambino, sia a quella della mamma. In alcuni casi, però, passare al latte artificiale è una scelta obbligata. Secondo Katie Hindle, esperta dell'Università di Harvard, le madri che si trovano in questa situazione dovrebbero avere a disposizione formulazioni specifiche per il sesso del bambino. In altre parole, il mercato dovrebbe offrire un latte artificiale per le bambine e uno per i bambini. Hinde basa la sua ipotesi sul fatto che le scimmie producono un latte più grasso e più ricco di proteine quando devono allattare piccoli maschi, mentre quando hanno partorito una femmina producono un latte più ricco di calcio. Non sono queste, però, le uniche differenze riscontrate dalla ricercatrice. Hinde ha infatti scoperto anche che i cuccioli di scimmia rispondono in modo diverso alla presenza nel latte del cortisolo - l'ormone dello stress - a seconda che siano maschi o femmine, un fenomeno che in qualche modo si verifica anche nell'essere umano. Uno studio condotto sull'uomo ha infatti svelato che le bambine, ma non i maschietti, diventano più irritabili se nel latte della mamma sono presenti quantità elevate di questa molecola. Secondo i dati presentati durante la conferenza annuale dell'American Association for the Advancement of Science le ricerche condotte fino ad oggi sull'uomo hanno prodotto risultati contrastanti. In generale, la qualità del latte materno varia molto da donna a donna. A cambiare sono sia le quantità di grassi, sia quelle di vitamine, minerali, zuccheri e altri nutrienti. In alcuni casi il latte può essere di qualità talmente scarsa che passare alle formulazioni artificiali è una scelta migliore per il bambino. Per questo Hinde ricorda che una mamma che si trovi a dover compiere questo passo non deve sentirsi eccessivamente in colpa: ad essere in gioco è la salute del piccolo.

giovedì 20 febbraio 2014

Eutanasia

I pediatri italiani dicono no alla legge che autorizza, in Belgio, l'eutanasia ai minori di 18 anni. "Una scelta che non possiamo condividere" in particolar modo in quanto "impegnati a tutelare sempre la salute dei bambini, soprattutto di quelli più fragili e con malattie croniche, complesse e causa di disabilità". E' quanto afferma il Presidente della SIP (Società italiana di pediatria) Giovanni Corsello, in merito all'approvazione della legge che ha suscitato polemiche in tutta Europa e la contrarietà dell'associazione nazionale belga di Pediatria. "Non possiamo cedere sul terreno dei valori che stanno alla base della convivenza e della società civile: uno di questi, tra i più importanti, è il rispetto per i bambini, per tutti i bambini, sani e con malattie acute o croniche, gravi ed invalidanti che siano", spiega Corsello. Per questo, "a tutti i bambini ammalati va garantito l'accesso alla cure palliative e alla terapia del dolore", attraverso la legge 38 del 2010 "che riconosce al bambino alcune specificità ed esigenze particolari rispetto all'adulto". Una legge però ancora spesso inattuata, secondo la Relazione al Parlamento sull'attuazione pubblicata a luglio 2013: "solo 11 Regioni hanno deliberato l'istituzione della rete pediatrica di cure palliative e terapia del dolore, solo 4 l'hanno realmente attivata - conclude Corsello - e soltanto nel Veneto è presente un hospice pediatrico" Fonte : ANSA

giovedì 13 febbraio 2014

Sicurezza stradale

Gli incidenti stradali sono tra le cause piu' frequenti di mortalita' e disabilita' in eta' pediatrica''. E' l'allarme lanciato dalla Societa' Italiana di Medicina di Emergenza ed Urgenza Pediatrica (SIMEUP) che constata come ''la maggior parte dei decessi nei bambini sia dovuta al mancato utilizzo dei sistemi di ritenuta o al non corretto utilizzo dei seggiolini''. SIMEUP ricorda alcune delle principali regole da rispettare e fornisce alcuni consigli pratici per la sicurezza quando si viaggi con bambini: I bambini di altezza inferiore a un metro e mezzo debbono usare appositi dispositivi di ritenuta, conformi alle normative, che variano a seconda del peso. I dispositivi utilizzabili, obbligatori dalla nascita fino al peso limite di omologazione (36 kg), sono di due tipi: seggiolini e adattatori. Sui veicoli privi di sistemi di ritenuta, i bambini di eta' fino a tre anni non possono viaggiare, mentre quelli di piu' di tre anni possono viaggiare su sedile anteriore o posteriore con le normali cinture di sicurezza solo se di statura superiore a 1,50 metri. Il posto migliore per posizionare il seggiolino del bimbo e' nel sedile posteriore centrale. I bambini possono anche essere trasportati sui sedili anteriori in senso contrario alla marcia del veicolo, sempre che siano protetti da appositi sistemi di ritenuta omologati e idonei per peso. In questo caso, l'air bag frontale va disattivato. Anche per i brevi tragitti non bisogna mai tenere tra le braccia il bimbo ne' sul sedile anteriore ne' su quello posteriore perche', in caso di incidente, il corpo dell'adulto puo' provocare i traumi piu' gravi al bambino. Meglio non offrire al piccolo cibi pericolosi che, in caso di incidente o di frenata, potrebbero causare un'ostruzione delle vie respiratorie. Sulla cappelliera dell'auto e' opportuno non mettere bagagli perche', in caso di incidente o di frenata, potrebbero precipitare rovinosamente e ferire il bimbo. Fonte:Asca

mercoledì 5 febbraio 2014

Un  figlio è un dono

Senza commenti e in punta di piedi per non rovinare la poesia di un inno all'amore di una madre,pubblico questo brano ,vero ,inviatomi dalla mamma di Beatrice,ricoverata in un grande ospedale romano. "Un  figlio è un dono e un figlio malato è un dono ancora più grande. Sto attraversando un momento molto doloroso ma sto vivendo un amore altrettanto forte e meraviglioso, l’amore e il dolore  per una figlia con una malattia terribile e una vita breve . Beatrice è una piccola grande donna KG 1400, i medici le stanno provando tutte ma non cresce, ma lei non si arrende, nonostante le infezioni che spesso prende in ospedale, ancora non vuole staccarsi dalla sua mamma. Forse è proprio l’amore della sua famiglia che la dà questa forza di lottare. Ho affidato la vita di mia figlia a Dio, lui sa quando sarà il momento di separarci. La preghiera mi aiuta anche perché sto portando una croce troppo grande per qualsiasi essere umano e penso di ricevere tanto amore e forza da Dio. E’ la croce di Cristo e solo le mamme che hanno perso i propri figli possono capirne il dolore. Ho capito che è vero che quando Dio ci dà una prova conosce le nostre forze , Dio sapeva che io avrei accolta e amato Beatrice incondizionatamente. Un figlio non si può scegliere, a mia figlia ho dato la vita, l’amore e la fede, sono stata sempre contraria all’ aborto e da quando è nata la mia bimba ne sono convinta più che mai. Le mie maternità non sono state facili ma mi hanno insegnato tanto e che solo il sacrificio porta buoni risultati, i figli sono il tesoro più grande per una donna. I primi giorni sono stati terribili, mi sentivo travolta da un uragano, ma piano piano sto cercando di cogliere tutti gli aspetti positivi di questa esperienza in “tin“ e questa bimba sta arricchendo molto la mia vita. Tutti abbiamo paura della malattia e della morte ma sono cose che fanno parte della vita,  nelle malattie più gravi c’è una pace e una luce che solo Dio può dare. A volte sono io a dover consolare chi vorrebbe consolare me e non trova le parole, anzi alcuni mi hanno fatto  ancora più male, non capiscono il grande amore che mi sta dando mia figlia. Man mano che passano gli anni mi accorgo sempre di più che la vera felicità, quella che dura per sempre, è nelle legge di Dio e non in quella degli uomini. Viviamo in una società dove conta solo l’apparenza,  quello che piace agli altri, il benessere  economico che sacrifica gli affetti  e a volte le persone che apparentemente hanno tutto non hanno proprio niente. Non mi sento sfortunata ad avere una figlia con trisomia 18 anzi, mia figlia è una benedizione e un legame ancora più forte con la fede. La trisomia 18 non è compatibile con la vita ma è compatibile con l’amore di una famiglia , il valore della vita non è relazionato alla sua durata o all’aspetto fisico di una persona. I medici dicono che ancora vuole vivere ,non si arrende è una bimba molto vivace e combattiva. Non è facile gestire tre figli che dimorano in posti diversi, due a casa e una in ospedale, è molto duro. Non è facile spiegare a due bambini, uno  sei anni e mezzo e una di 4 che la sorellina tanto attesa forse non verrà  mai a casa ma diventerà un angelo in paradiso. I bambini hanno visto la sorellina tre volte e se ne sono innamorati. All’inizio, non volevo accettare, le parole degli amici più credenti, che il Signore mi aveva scelto per testimoniare un suo disegno, ma forse è proprio  così. Perché proprio me, poi le risposte sono arrivate da sole. Mamma di Beatrice"

domenica 2 febbraio 2014

Latte vaccino e storia naturale delle allergie

La prevalenza dell’ negli USA è del 2%-3% dei bambini, e costituisce la . In base a studi precedenti sappiamo che circa nel 75% dei casi questa allergia viene perduta con lo sviluppo, ma adesso nuovi studi pongono l’accento sul fatto che questa percentuale di guarigione in realtà risulti molto più bassa. Sono stati esaminati 293 bambini di età compresa fra 3 e 15 mesi, fino ad un’età media di 5 anni: a quest’epoca di sviluppo l’allergia al latte si è risolta completamente solamente nel 53% dei bambini. Un altro 21% era in grado di tollerare il latte purché presente in cibi cotti. I  che si sono collegati con una mancata guarigione sono stati la dimensione maggiore dell’area positiva al , la presenza di elevati livelli di IgE specifiche e la presenza di  Eczema moderato o grave. In conclusione solo la metà dei bambini diventano tolleranti all’età di 5 anni, anche se un ulteriore 20% può tollerarlo se cotto. In base ai tre fattori suddetti (dimensione dell’area positiva del prick test, presenza di eczema, presenza di livelli elevati di IgE specifiche) gli autori dello studio hanno costruito un algoritmo di predizione per spiegare ai genitori la possibilità o meno di guarigione dall’allergia. Bibliografia Wood RA et al. The natural history of milk allergy in an observational cohort. Journal of Allergy and Clinical Immunology 2013 Mar; 131:805 Spergel JM. Natural history of cow's milk allergy. Journal of Allergy and Clinical Immunology 2013 Mar; 131:813

venerdì 24 gennaio 2014

La saliva rivela l'esposizione al fumo di bambini asmatici

Bambini asmatici esposti al fumo di sigaretta sono maggiormente candidati a ripetuti ricoveri in ospedale per problemi respiratori . Ma i ricercatori dicono che chiedendo ai genitori se i bambini hanno avuto esposizione al fumo ricevute non sono molto affidabili . In un recente studio (http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2014/01/15/peds.2013-2422.full.pdf+html) la saliva ha rivelato l'esposizione al fumo di tabacco in circa l'80 per cento dei bambini portati in ospedale per problemi respiratori o di asma. Solo un terzo dei genitori, però, ammette che i bambini siano venuti in contatto con il fumo. Trovare tracce di nicotina , una sostanza chimica del tabacco , nella saliva dei bambini è stato un migliore indicatore rispetto alle notizie forniteai medici dai genitori . "Pensiamo che la saliva è un test buono e potenzialmente utile per valutare un trigger importante per l'asma , " afferma il Dott. Robert Kahn , autore senior dello studio , in un intervista. Precedenti ricerche hanno scoperto che l'esposizione al tabacco può portare a problemi alle vie aeree e scarso controllo dell'asma tra i bambini , Kahn e collaboratori scrivono sulla rivista Pediatrics . Per capire come i bambini sono stati esposti al tabacco , i medici possono essere in grado di intervenire e di identificare e possibilmente eliminare l'esposizione , ha detto Kahn , che lavora al Medical Center di Cincinnati, in Ohio. Ad esempio , se un genitore è un fumatore e espone il suo bambino al fumo, i medici sono in grado di offrire gli strumenti per smettere di fumare al padre mentre il bambino è ricoverato in ospedale . Per lo studio , i ricercatori hanno valutato i dati di 619 bambini ricoverati in ospedale Medical Center di Cincinnati, affetti da asma o altri problemi respiratori tra agosto 2010 e ottobre 2011. I bambini avevano un età tra uno e 16 anni . Durante i primi due giorni di degenza dei bambini in ospedale , i ricercatori hanno chiesto ai loro genitori se i figli avessero qualsiasi esposizione al tabacco - a casa, in auto o in un altro luogo dove i bambini usualmente dormivano . Infermieri hanno raccolto campioni di sangue e saliva dai bambini . Circa il 35 per cento dei genitori ha riferito che i figli hanno avuto una certa esposizione al fumo di tabacco . Tuttavia, circa il 56 per cento dei campioni di sangue dei bambini e circa il 80 per cento dei campioni di saliva sono risultati positivi per cotinina , un componente di nicotina che è un marcatore per l'esposizione del tabacco . La differenza nei risultati della saliva e gli esami del sangue e le relazioni dei genitori non significa necessariamente che i genitori hanno mentito circa l'esposizione dei loro bambini al fumo . Potrebbe anche essere che i ricercatori e i medici non abbiano fatto le domande giuste o che i genitori non sappiano che i loro figli siano stati esposti al fumo . Uno su sei bambini nello studio dovevano essere riammessi in ospedale entro un anno . Segnalazioni di esposizione al fumo dei genitori non erano legati alla probabilità dei bambini che ritornano in ospedale . Ma Kahn ei suoi colleghi hanno trovato che i bambini avevano più probabilità di essere nuovamente ricoverati se la loro saliva o il sangue erano risultati positivi per la cotinina . I ricercatori scrivono che la saliva è un test rapido, sicuro e non invasivo per ottenere un campione organico . Inoltre sembrava essere un test più sensibile dei test su sangue. "Il test che stiamo utilizzando per determinare i livelli di cotinina è un test sofisticato - non disponibile in tutti gli ospedali ", dice un ricercatore dello studio e non cambia la terapia per l’asma infantile, anche se i bambini sono stati esposti al fumo di tabacco. Il messaggio dovrebbe sempre essere che l'esposizione al fumo passivo sia per adulti e bambini è un significativo fattore di rischio per la salute - in particolare per i bambini con asma e disturbi respiratori. I bambini in qualunque circostanza non dovrebbero essere esposti al fumo passivo. Fonte : Adnkronos Salute

domenica 19 gennaio 2014

Sale nella dieta del bambino

Il settanta per cento dei bimbi di otto mesi d’età assume sale oltre il livello massimo consigliato. Queste sono le ultime scoperte dei ricercatori dell'Università di Bristol, sulla base di un test che ha visto protagonisti quasi 1.200 bambini. Il risultato della ricerca è stato pubblicato sul magazine European Journal of Clinical Nutrition. Un monito anche per il latte vaccino e quello artificiale, che rispetto al latte materno offre livelli più elevati di sale. Alti livelli di sale in età infantile possono danneggiare i reni in via di sviluppo, nonché abituare il bimbo a uno stile di vita che poi continuerà in età adulta, causandogli problemi di salute nel corso della vita. Anche secondo la Società italiana di Pediatria e la Società europea di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica esiste una relazione tra precoce esposizione al sale, sin dai primi anni di vita, e rischio di obesità e ipertensione nelle età successive. "Un bambino abituato ad eccedere le dosi consigliate di sodio è potenzialmente un adulto iperteso". I ricercatori di Bristol hanno scoperto che la maggior parte dei bambini esaminati ha iniziato lo svezzamento all’età di circa 3-4 mesi con un apporto significativo di sale (più del doppio rispetto la raccomandazione massima per quella fascia di età, ovvero 400 mg di sodio al giorno fino a 12 mesi di età). Pauline Emmett e Vicky Cribb, i nutrizionisti che hanno condotto la ricerca, hanno dichiarato: "Questi risultati dimostrano che l'assunzione di sale deve essere sostanzialmente ridotta nei bambini di questa fascia di età. I neonati hanno bisogno cibi appositamente preparati per loro, senza sale aggiunto, quindi è importante adattare la dieta familiare. Considerato che i tre quarti di sale assunti dal nostro corpo, avviene per mezzo dei cibi lavorati, una valida strategia di riduzione dei consumi può avvenire solo con la cooperazione del settore alimentare. I produttori hanno la responsabilità di ridurre il contenuto salino dei prodotti. Nel Regno Unito questo processo è già stato avviato ma c'è ancora molto da fare". Dunque la restrizione del sale nella dieta del bambino è importante e viene consigliata l'introduzione solo dopo i dodici mesi di vita. Claudio Maffeis, docente di Pediatria all’Università di Verona ,propone dieci regole in cucina contro gli eccessi di sale. "Bastano pochi semplici accorgimenti per insegnare al bambino delle sane e corrette abitudini alimentari, iniziando dalle prime pappe". Eccole : 1) Distinguere sempre l’alimentazione del bambino da quella dell’adulto, offrendo al bambino i cibi giusti per ogni fase della sua crescita. Un alimento 'insospettabile' ma con un contenuto di sale rilevante sono, per esempio, i cereali 'da adulto'. 2) Essere l’esempio per il bambino e per tutta la famiglia nella scelta di cibi sani, iposodici o naturalmente salati. 3) Non aggiungere il sale nelle pappe e usare ingredienti a basso contenuto di sale per tutto il primo anno di vita e proseguire quanto più a lungo possibile. 4) Cuocere la pasta senza aggiungere il sale nell’acqua. In tal modo si risparmia un apporto di sale di circa 10 gr per litro di acqua. 5) Quando si assaggia la pappa non bisognerebbe affidarsi al proprio gusto “adulto” per testarne la bontà, ma è meglio lasciare al bambino la possibilità di abituarsi ed apprezzare il gusto più naturale del cibo. 6) In caso mancasse il latte materno, prima dell’anno preferire i latti specifici in formula, adatti alle sue esigenze, evitando il latte vaccino. Il contenuto di sodio varia infatti molto tra latte umano (15mg/100ml), formula (in media 20mg/100ml) e latte vaccino (55 mg/100ml). 7) Come condimenti, usare aceto e limone al posto del sale e dopo i due anni preferire aromi, spezie e erbe aromatiche. 8) Eliminare i cibi fritti e prediligere le cotture al cartoccio o al vapore che permettono di trattenere il sapore proprio degli alimenti, donando il naturale gusto alle preparazioni. 9) Puntare sulla fantasia: colori e varietà degli ingredienti “catturano” il gusto del bambino. 10) Scegliere materie prime o prodotti dedicati alla prima infanzia di ottima qualità, che garantiscono un sapore piacevole per il palato del bambino

giovedì 9 gennaio 2014

Zucchero come Alcool e Fumo

Lo zucchero è diventato dannoso per la salute come l'alcol o il fumo, è l'allerta di un gruppo di esperti, che hanno lanciato 'Action on Sugar', una campagna rivolta all'industria alimentare per ridurre notevolmente i livelli di zucchero nei prodotti consumati quotidianamente. Un taglio a tutta questa dolcezza equivarrebbe a 100 calorie a testa in meno al giorno, sufficienti ad arrestare l'epidemia dilagante di obesità. "Lo zucchero è il nuovo tabacco", sottolinea Simon Capewell, professore di epidemiologia clinica all'università di Liverpool (Gb), si legge sul Telegraph. I ricercatori che si sono alleati contro il saccarosio aggiunto nei cibi, chiedono alle aziende di non pubblicizzare bibite zuccherate e snack per bambini, visto che, a loro giudizio, lo zucchero è diventato "l'alcol dell'infanzia". Non solo. Il gruppo fa appello al Governo affinché multi i produttori che non ridurranno i livelli di saccarosio o introduca una tassa sullo zucchero. Il problema, sottolineano i ricercatori, non sono solo le bibite, ma anche zuppe, yoghurt e altri cibi pronti, dove si 'nascondono' l'equivalente di 4 o 5 cucchiaini di zucchero.