martedì 29 dicembre 2009

Enuresi notturna

L'enuresi notturna è un disturbo, più che una malattia, e consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età (5-6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente che interessa il 10-15% dei bambini a 6 anni e che tende il più delle volte a risolversi spontaneamente (incidenza solo dell’1% negli adulti). Per enuresi notturna non si intende però la saltuaria e sporadica emissione di urine durante la notte, ma questo problema deve presentarsi con una certa frequenza (secondo alcuni autori è necessario un periodo di osservazione di almeno 2 settimane durante le quali il bimbo deve bagnare per almeno 3 volte a settimana, secondo altri l'osservazione va protratta per 3 mesi con almeno 2 notti bagnate alla settimana)
Nel bambino piccolo la vescica non ha ancora raggiunto una piena maturazione sia del volume di urina che è in grado di contenere, sia dei meccanismi che permettono al bambino di controllare la fuoriuscita della pipì.

L’enuresi si distingue in:

Primaria: quando il bimbo non ha mai acquisito il controllo notturno.
In questo caso l’enuresi si attribuisce a:

* Ipotesi patogenetiche.

Il tipo di aggregazione familiare del fenomeno suggerisce la presenza di fattori favorenti multigenici (il rischio quindi per un figlio di diventare enuretico sarebbe pari al 77% se entrambi i genitori sono stati enuretici, del 44% se solo uno dei genitori è stato enuretico, solo del 15% se nessuno dei due genitori è stato enuretico).


* Immaturità del controllo vescicale.

La minzione necessita di una stretta coordinazione tra detrusore vescicale, muscolatura liscia del collo vescicale (sfintere interno) e muscolo striato (sfintere esterno). Il raggiungimento del controllo completo di questo apparato è un "processo maturativo" che avviene per tappe. Nel corso di questo processo si verifica un conflitto tra la percezione dello stimolo minzionale e l'incompleta capacità di controllo dell'apparato vescico-uretrale. Questo conflitto è alla base del fenomeno dell'enuresi notturna.

* Deficit di ormone antidiuretico.

Un'altra ipotesi eziopatologica che ha riscosso molto successo è il riscontro nei soggetti enuretici di un deficit di ADH. Norgard per primo ha dimostrato che in una quota di soggetti con enuresi notturna primaria, viene persa la pulsatilità del ritmo circadiano dell'ADH, evidenziando un appiattimento del fisiologico picco notturno. In tal modo, viene a mancare la fisiologica concentrazione notturna di urina.
Entrambi i meccanismi possono essere presenti e prevalere in misura variabile da bambino a bambino.


* Dismorfismi della colonna.

Infine bisogna considerare la possibilità che l'enuresi notturna sia secondaria a dismorfismi della colonna vertebrale (in particolare la schisi vertebrale a livello dei processi spinosi di S1 o in minor misura di L5 e di S2). In questi casi si associa costantemente una vera e propria incontinenza urinaria diurna.


Secondaria: il bambino, dopo avere raggiunto il controllo della vescica per almeno 6 mesi, ha ripreso a fare la pipì a letto.
Può dipendere da particolari situazioni emotive e stressanti (ad esempio la nascita di un fratellino, l’inserimento a scuola, tensioni familiari…).

Sintomatica: in questo caso l’enuresi compare come conseguenza di una malattia ad esempio un’infezione urinaria o altre patologie.

In età pediatrica vi è una prevalenza nel sesso maschile, ma tale differenza scompare in età adulta. La caratteristica di avere un sonno molto profondo è comune ai bimbi enuretici.

L’enuresi si presenta più facilmente dopo i cinque - sei anni , ma l’età più giusta per prendere in considerazione un trattamento è dopo i 7 anni. Può essere opportuno ricorrere al trattamento anche di quei bambini che, pur non presentando il problema frequentemente, avvertono un significativo disagio soggettivo e compromissione delle normali attività di socializzazione.

Nella maggior parte dei casi il bambino ha problemi solo la notte, ma spesso sono presenti sintomi urinari anche di giorno: aspetta l’ultimo istante per andare a fare la pipì, bagna le mutandine, urina troppo spesso o troppo raramente, non svuota completamente la vescica, si accovaccia e stringe le gambine per trattenere la pipì.

L’enuresi è una patologia che si risolve, nella quasi totalità dei casi, spontaneamente ma non esistono elementi clinico-anamnestici che permettano di prevedere se e quando avverrà la "risoluzione spontanea"., Gli interventi che vengono attuati sono tesi ad accelerare la maturazione del controllo della vescica e/o a ridurre il volume totale di liquidi che arrivano alla vescica durante la notte. Il fine è quello di permettere al bimbo di condurre una vita normale affinché non debba per esempio rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, di socializzare e dunque di evitare che il bambino possa manifestare un disagio a livello psicologico. La terapia può essere di 2 tipi, farmacologica o comportamentale: sta al medico decidere quale sia più adatta al singolo paziente.

Farmaci:
• In casi selezionati si può ricorrere alla desmopressina (DDAVP, una sostanza simile all’ormone antidiuretico naturale ADH). Va somministrata in compresse, la sera, mentre la formulazione in spray nasale, usata in passato, non è più indicata in questo disturbo. La DDAVP permette di abbassare la produzione di urina da parte del rene e quindi di ridurre il rischio di perdita involontaria di pipì. Fondamentale è che alla medicina si accompagni una ridotta o nulla assunzione di liquidi la sera (da almeno 1 ora prima fino a 8 ore dopo l'assunzione della compressa).
• Se il problema si verifica anche di giorno possono essere utili i farmaci anticolinergici che aumentano la capacità di contenere l’urina nella vescica. E’ inoltre necessaria una rieducazione del bambino ad un corretto svuotamento della vescica.

Tecniche comportamentali:
.La rieducazione minzionale” è una tecnica usata per l’emissione diurna: una specie di ginnastica per abituare la vescica a svuotarsi nei tempi e modi corretti. Analogamente si dovrà risolvere una eventuale stitichezza se associata.
Spiegare al bambino che non appena sente il bisogno di fare pipì deve andare in bagno e, se come il più delle volte accade si rifiuta, programmare almeno 6 momenti della giornata in cui portarvelo.
Questo lo aiuta a prendere coscienza della propria capacità di controllare lo stimolo.
Invitarlo a svuotare completamente la vescica: non accontentarsi di poche quantità di urina. Molte volte il bimbo pensa di avere esaurito la minzione rapidamente e dopo la prima “spinta”: invitarlo invece a non avere fretta e ad aspettare che tutta la pipì sia uscita.
Per le femmine è importante urinare a gambe ben aperte senza mutandine o con queste ben abbassate.


Bibliografia essenziale:
Panizon F, Medico e Bambino 1996; 15: 666
Peratoner L, Medico e Bambino 1999; 18:623-5
De Gennaro M, Congresso Nazionale della Società Italiana di Urodinamica, 2004
AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco

venerdì 25 dicembre 2009

Natale


Auguri di Buon Natale a tutti gli uomini di buona volonta'
a quelli che hanno vegliato perche' gli altri potessero festeggiarlo
a quelli che hanno santificato il Natale occupandosi degli altri, degli ultimi, dei diseredati, dei senzatetto
a quelli che hanno lottato contro la morte per salvare qualcuno che lo voleva festeggiare
a tutte le donne che subiscono la violenza del mondo
a tutti i bambini che non vivono per le colpe dei grandi
a tutti i piccoli nati stanotte, sperando in un mondo Migliore
Buon Natale!!!

sabato 12 dicembre 2009

Musicoterapia nei neonati

L’utilizzo della musica da parte del Nursing, è sempre più diffuso e costituisce uno strumento terapeutico “autonomo”. Ma rappresenta anche, l’incremento di un’assistenza infermieristica umanizzante.
Ci sono molti studi che applicano la musicoterapia alla medicina e nello specifico alla neonatologia.
In Canada,e negli Usa sono sempre più numerose le unità neonatali che usano la musica per curare e far crescere i bambini prematuri
Un’ equipe canadese ha passato in rassegna nove studi e ha scoperto che la musica riduceva nei bebè la sofferenza durante una serie di procedure mediche dolorose e li aiutava a mangiare di più. La musica sembrava avere effetti positivi anche su parametri fisiologici quali il battito cardiaco e la respirazione, si legge sugli Archives of Disease in Childhood.
In Canada, sono sempre più numerose le unità neonatali che usano la musica per curare e far crescere i bambini prematuri. La musica utilizzata negli studi presi in considerazione era in prevalenza costituita da ninne nanne e cantilene per bambini, ma anche da suoni aggiuntivi, che mimavano quelli che il feto sente nel grembo materno

Il Nursing “avanzato” presente in paesi come degli U.S.A, Australia, impiega la musica come fattore assistenziale, riscontrando un notevole e benefico sviluppo, da diversi anni, in ambiente ospedaliero, nei centri di riabilitazione, in centri diurni (day hospital) in hospice, e case di riposo. A neonati nati prematuramente, viene proposta musica in modalita’ continua non intervallata dal silenzio, con costanza e per più giorni. I risultati incredibili sono quantificabili in maggiore appetito ed aumento del peso giornaliero, una maggiore tolleranza agli stimoli esterni, risultato piu apprezzabili nelle femmine che nei maschi.
In Italia ci sono alcuni ospedali che cominciano ad applicare la musicoterapia.
All’ospedale di Lecco hanno realizzato un percorso di musico-terapia per i prematuri e per le loro mamme. Ai piccoli ricoverati nel reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale A. Manzoni, viene fatto ascoltare un cd dove sono state raccolte 18 ninne nanne interpretate da alcune mamme.La compilation per bebè si chiama “Canta che ti sento” e sembra che aiuti tutti i pretermine a relazionarsi meglio con il mondo esterno.
Un lavoro italiano multicentrico ha prodotto un lavoro che è consultabile in rete.





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lunedì 7 dicembre 2009

Influenza H1N1 : andamento dell'epidemia

Da qualche tempo non ci sono tante notizie sull'influenza H1N1 sui media, forse non fa più notizia, o sono relegate nelle pagine interne, ma, anche contro tutte le polemiche e le critiche, la sanità in toto, con tutte le forze a disposizione , continua a fronteggiare l'epidemia e la monitorizza come il Centro nazionale di epidemiologia (Ceesps) e dell'istituto superiore della sanità (Iss). Quello che segue è l'ultimo bollettino pubblicato.
Il report dell'Istituto Superiore di Sanità
"Il report “FluNews” del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss) è un resoconto settimanale complessivo in cui si fa il punto della situazione con una lettura integrata dei risultati raccolti.
Questa settimana (FluNews n.5), i fatti salienti sono:
• i nuovi casi stimati delle sindromi influenzali nella 48° settimana sono 400.000, per un totale di 3.438.000 casi a partire dall’inizio della sorveglianza Influnet (43° settimana: 19-25 ottobre)
• il valore dell’incidenza totale delle sindromi influenzali è pari a 6,64 casi per mille assistiti, in forte flessione rispetto al valore osservato nella settimana precedente (11,19 casi per mille assistiti)
• nella 48° settimana (23-29 novembre) sono state somministrate 116.510 dosi di vaccino. Dall’inizio della campagna vaccinale, complessivamente sono state somministrate, per le categorie considerate prioritarie per la prima fase della vaccinazione, 611.425 prime dosi e 1.666 seconde dosi.
• gli operatori sanitari e sociosanitari che si sono vaccinati sono 146.129, pari al 14,1% del totale
• alle donne nel secondo e terzo trimestre di gravidanza sono state somministrate 18.807 dosi (pari al 10,8% del totale), mentre alle persone di età compresa tra 6 mesi e 65 anni con condizioni di rischio sono state somministrate 381.716 dosi (9%)
• alcune Regioni hanno iniziato a vaccinare i bambini e giovani adulti tra 6 mesi e 27 anni senza condizioni di rischio,
per un totale di 5.587 dosi somministrate
• nella 48° settimana (23-29 novembre), il 6% di tutte le persone che si sono rivolte ai pronto soccorso è stato visitato per sindrome respiratoria acuta. Di questi, il 24% è stato ricoverato
• nel periodo 16-22 novembre le vendite di antivirali sono diminuite del 39% rispetto alla settimana precedente, attestandosi su un valore pari a circa 13 pezzi ogni 100 mila abitanti; al Centro-Sud si continuano a registrare le vendite maggiori di antivirali (15 pezzi ogni 100 mila abitanti).
• nell’ultima settimana (23-29 novembre) sono stati segnalati 13 decessi dovuti all’influenza A/H1N1v, per un totale di 97 decessi dall’inizio dell’epidemia.
• il 10,3% dei decessi è avvenuto in bambini e ragazzi sotto i 14 anni di età, mentre il 21,6% in anziani oltre i 65 anni
• l’89,7% dei decessi è avvenuto in persone che presentavano almeno una condizione di rischio precedente".

Cliccando sul titolo si può leggere il numero citato per intero.

domenica 6 dicembre 2009

Allergia alle Muffe


Le muffe sono funghi microscopici che durante la loro crescita producono particelle di forma sferica e dimensioni molto piccole, assai simili ai pollini (spore) che si disperdono nell'aria principalmente in estate e autunno. Le numerose spore rilasciate dalle muffe non causano alcun danno negli uomini, ma le ife che crescono da queste spore possono aderire alle cellule del primo tratto dell'apparato respiratorio e causare reazioni respiratorie in chi ha delle insufficienze immunitarie.
La presenza di muffa è quasi sempre segno di un cibo avariato, anche se in alcuni casi le muffe sono oggetto di una coltivazione precisa; nella produzione di alcuni formaggi come il gorgonzola, e per la produzione di antibiotici derivati dalle naturali difese contro i batteri.
La famosa scoperta della penicillina, operata da Alexander Fleming, riguardava la muffa denominata Penicillium notatum. La muffa Neurospora crassa è generalmente usata come un organismo modello in esperimenti di biologia.
Possono crescere sia all'interno che all'esterno delle abitazioni.
All'interno si ritrovano principalmente su alimenti non adeguatamente conservati, su indumenti di lana, nel materasso e divani, su pareti e pavimenti umidi, su carta da parati, sul terriccio e sulle foglie di piante ornamentali, nei sistemi di condizionamento d'aria, negli umidificatori, nei frigoriferi, in particolare intorno alle guarnizioni di chiusura dello sportello.

All'esterno delle abitazioni si trovano principalmente sul suolo e su materiale organico in decomposizione (frutta, legno, cereali, foglie, ecc.). Le muffe possono accumularsi in grandi quantità in particolari ambienti di lavoro come caseifici, salumifici, cartiere, stalle, silos, magazzini, vivai e serre. Nel nostro paese la muffa più allergizzante è l'alternaria, seguita da Cladosporium, Aspergillus, Epicoccum e Penicillium.

Sintomatologia:

Le Muffe o Micofiti, attraverso le loro spore, sono causa non rara di allergia respiratoria, sia nella sua forma IgE-mediata che in quella, più complessa, delle cosiddette micosi broncopolmonari allergiche.
Le cause più comuni della patologia allergica vera sono Alternaria e Cladosporium, forme fungine che crescono soprattutto sulle pagine fogliari delle Angiosperme (flora filloplana).
Le spore di Alternaria sono state più volte chiamate in causa come agenti di crisi asmatiche acute e gravi dell'estate e del primo autunno.
Le muffe, però, colonizzando l'albero respiratorio, possono dare luogo a delle alveoliti in cui la risposta IgE è soltanto uno dei meccanismi. In tali forme il primo fungo ad essere chiamato in causa è stato l'Aspergillus fumigatus, ancora oggi il più comune agente causale di questa patologia.
Un certo interesse al proposito hanno anche altre forme fungine, sia del genere Aspergillus (A. niger, flavus, terreus), sia di altri generi, tra i quali Penicillum, Candida, Mucor, Helmintosporium, Rhizopus.
Da ricordare anche la possibilità, dovuta all'inalazione massiccia di spore fungine che si può determinare in certe professioni (formaggiai, fabbricanti di tappi di sughero, ecc.), di sviluppare fenomeni di broncopolmonite da ipersensibilità.

Ricordarsi che la massima concentrazione di spore nell’aria si verifica alla fine dell’estate e all’inizio dell’autunno.

La profilassi per gli allergici con sintomi respiratori gravi (asma e forme asmatiformi), alle muffe puo’ essere riassunta nei seguenti punti:
• Evitare di passeggiare nei boschi, di spazzare foglie cadute da molto tempo o di tagliare l'erba. Evitare il contatto con cataste di legna, mucchi di foglie e vegetazione in decomposizione.
• Ricordare che alcune muffe sono disperse nell'aria nelle giornate secche e ventose (alternaria in particolare) altre nelle giornate piovose. Limitare le uscite all'aria aperta in queste giornate e fare una doccia quando si rientra in casa per rimuovere le spore che si sono accumulate nei capelli.
• Evitare alcuni ambienti quali serre, negozi d'antiquariato, saune, che sono sorgenti di aumentata esposizione alle muffe. Si possono inoltre trovare elevate concentrazioni di muffe nei condizionatori d'aria delle automobili, nei sacchi a pelo e nelle case per le vacanze o in stanze d'albergo.
• Evitare ambienti abitati solo saltuariamente (seconde case), e inoltre le cantine, le stalle e le serre.
• In casa, aerare frequentemente i luoghi in cui si nota una crescita di muffe.
• In tutta l'abitazione mantenere un'umidità relativa possibilmente al di sotto del 50%. Usare un deumidificatore o un condizionatore d'aria in estate.
• Non utilizzare umidificatori.
• In bagno usare la ventola aspirante o aprire la finestra dopo la doccia. Lavare le tende della doccia, la vasca, lavandini, piastrelle con candeggina.
• In cucina usare una ventola aspirante per rimuovere il vapore acqueo quando si cucina. Nel caso di frigoriferi autosbrinanti svuotare frequentemente le vaschette dell'acqua. Fare attenzione alla conservazione dei cibi ed eliminare immediatamente quelli avariati. Le muffe crescono nei contenitori delle immondizie, che dovrebbero essere svuotati frequentemente e lavati.
• Mettere ad asciugare gli indumenti all'aria subito dopo il lavaggio. Se si é allergici all'alternaria é meglio asciugare gli indumenti all'interno della casa con l'aiuto di un deumidificatore. Appendere gli indumenti all'esterno potrebbe favorire la deposizione su di essi dell'alternaria stessa.
• Per le pulizie domestiche adoperare prodotti che uccidono le muffe (Lysoform). In alternativa si può usare una soluzione di acqua e candeggina al 10% (1 parte di candeggina e 9 parti di acqua).
• Le muffe crescono bene negli armadi a muro che in genere sono umidi e bui. Scarpe e vestiti, prima di essere riposti, devono essere completamente asciutti.
• La pulizia della camera da letto segue le stesse regole suggerite per gli allergici agli acari.
• Se presenti, pulire spesso gli impianti di condizionamento dell'aria.
• Eliminare alimenti conservati a lungo o ammuffiti.



Anche per chi non è allergico si possono applicare delle norme di profilassi ambientale:

* Areare frequentemente per almeno 1 ora al giorno la camera.
* Riscaldare uniformemente gli ambienti.
* Non asciugare la biancheria all'interno della casa.
* Usare depuratori con filtri HEPA.
* Evitare la presenza di polvere.
* Evitare la formazione di eccessiva umidità in bagno e in cucina.
* Non eccedere con la presenza di piante ornamentali.
* Mantenere l'umidità relativa al di sotto del 55%.

mercoledì 25 novembre 2009

Il Nuoto "Neonatale"


Il nuoto neonatale è l’attività che si svolge in acqua riservata ai neonati e che verte sostanzialmente nel mantenere l’acquaticità che è tipica del neonato.
Nella maggior parte dei casi i bambini vengono messi in acqua a pochi mesi di vita non per insegnargli a nuotare quanto per prolungare la familiarità del bambino con quello che fino a poco tempo fa era il suo habitat naturale e per lavorare sul suo sviluppo psico-motorio. Attraverso il nuoto neonatale infatti, anche se il bambino è affiancato dai genitori, ha la possibilità di muoversi in piena autonomia.
Nei primissimi mesi di vita è consigliabile praticare il nuoto neo natale nella vasca da bagno di casa vostra, ad una temperatura di 33°.
Passati i 6 mesi si può praticare il nuoto neonatale anche in piscina in quanto i bambini possono sopportare una temperatura dell’acqua leggermente inferiore ai 33°. É necessario che la piscina sia dotata di una vasca apposita per il nuoto neonatale. Solitamente queste vasche sono colorate e piene di giochi per invogliare il bambino ad entrare in acqua e stimolare la sua fantasia.
attraverso il nuoto neonatale:
- il bambino ottiene uno stimolo alle sue emozioni e alle sue percezioni
- il bambino scopre nuovi schemi di postura
- il bambino acquisisce un maggior controllo della respirazione
- Aumenta l’indipendenza dei neonati preparandoli ad un futuro corso di nuoto
- il bambino non perda quel senso di ambientamento che possiede fin dai primi mesi di vita

Ma la difficolta’ maggiore , a parte le considerazioni mediche sulla validità ed i benefici dell’acquaticità dei bambini , è la difficoltà di reperire impianti idonei e personale altamente qualificato a tale compito. Cercando sul web si possono reperire un’infinità di proposte, consigli , impianti idonei dalla nascita alla senilità del bambino, ma la vera proposta , adeguata a sviluppare l’acquaticità del neonato e , poi, del lattante , va oltre il contatto con l’acqua. Si deve basare una complessa interazione nell'insegnante , di provate capacità sportive e conoscenza delle tematiche della prima infanzia,nozioni di psicologia e capacità di comunicazione.
Un sito che “tocca” in parte l’argomento con approfondimenti sulla formazione degli insegnanti e un percorso formativo parallelo ai corsi di nuoto e acquaticità , è : www.acquarella.it

Dunque, il nuoto per bambini è molto più di un bagnetto!!

domenica 22 novembre 2009

Allergia agli animali


Secondo la Federazione italiana delle società immunoallergologiche, "l'allergia costituisce la terza causa di malattia cronica nel nostro Paese, con un'incidenza sempre più elevata fra i giovani e i bambini. In particolare il 20% dei piccoli in età scolare è particolarmente sensibile alla polvere, al polline e ai derivati epidermici di animali", cioè la forfora del cane e del gatto.

L’allergia a tutti gli animali non può essere generalizzata ma i “derivati epidermici di animali”rappresentano le risultante di un processo che parte dalla pelle morbida ed elastica dei cuccioli e che una persona con allergia può probabilmente maneggiare e non manifestare alcuna reazione.
Con la crescita la pelle diventa meno elastica, le ghiandole sebacee cominciano a produrre più sebo dando inizio alla manifestazione dei primi sintomi di allergie.
Tutti i tipi di pelle, essere umano o animale, contengono queste ghiandole le quali producono un lubrificante oleoso che mantiene la pelle elastica ed il pelo lucido. E’ da queste secrezioni che proviene l'allergene del gatto "Fel d1", che i felini poi si spargono su tutto il mantello attraverso la loro continua opera di autopulizia. Gli allergeni nel gatto sono molto numerosi ,ma il principale, il FEL dl ,viene prodotto dalle già citate ghiandole sebacee e in misura minore dalle cellule epiteliali squamose basali e si accumula soprattutto sulla superficie dell’epidermide, nella forfora e nei peli. La quantità di pelo che un gatto ha non gioca nessun ruolo significativo rispetto al suo potere allergizzante. Concentrazioni elevate di FEL dl si possono trovare in ambienti in cui vi sia la presenza di uno o più di tali animali domestici, ciò spiega l’insorgenza di manifestazioni cliniche improvvise e gravi in soggetti specificatamente sensibili, quando entrino in uno di questi ambienti. L’allergene del gatto si lega a particelle molto piccole in grado di disperdersi rapidamente nell’aria e di rimanere sospese per molte ore soprattutto in ambienti con scarso ricambio d’aria. Questo allergene inoltre tende ad accumularsi su tappeti, divani, poltrone e tendaggi da cui scompare molto lentamente, anche dopo l’ allontanamento dell’animale dall’ambiente domestico.
Si ritiene con tutta probabilità che circa l’80% delle allergie al gatto serie siano indotte dall'allergene Fel d1. Questo è il motivo per cui i gatti sono probabilmente responsabili di due terzi di tutte le allergie riferite agli animali domestici. Dunque il responsabile della maggioranza delle allergie agli animali è indiscutibilmente il gatto. Del resto si tratta dell’animale che vive, probabilmente, a più stretto contatto con gli abitanti della casa. Il cane è responsabile di allergie piuttosto gravi ma in misura minore rispetto al gatto. La frequenza di sensibilizzazione varia a seconda delle razze canine. Sembra più frequente per il boxer e lo Schanauzer. Il principale allergene del cane è il CANfl che si trova nel pelo e nella forfora. Anche se i cani non sono "auto-pulitori" nella stessa misura dei gatti, tuttavia, è ancora la produzione delle ghiandole sebacee tra le maggiori cause dell'allergia indotta dai cani. Come i gatti, la quantità di pelo del cane è ininfluente sulla relativa capacità di causare le reazioni allergiche.
La Forfora, rappresentata da quelle minuscole particelle di pelle secca che il cane e il gatto perdono in continuazione, è anch'essa in grado di scatenare reazioni allergiche. Queste particelle sono così piccole, talvolta invisibili a occhio nudo, da persistere in sospensione nell'ambiente per parecchio tempo andandosi poi ad annidare su mobili e tappeti.
L' Urina di cani e gatti così come quella di furetti, cavie, criceti e topi, come indicato da recenti studi, contiene fattori allergenici in grado di provocare allergia in soggetti sensibili.
In ambienti particolari , come fattorie e maneggi. comune è anche l’allergia al cavallo. Le allergie alla sua forfora si registrano quasi esclusivamente in soggetti esposti per motivi professionali (fantini, stallieri, veterinari) o in soggetti che praticano l’equitazione. Gli allergeni isolati dai derivati epidermici del cavallo sono, comunque, molto potenti, per cui le manifestazioni cliniche, soprattutto di tipo asmatico, sono molto gravi nei soggetti sensibili. Una novità recente tra i bimbi di città è l’allergia al coniglio, sempre più diffuso come animale da compagnia. Recentemente è stata descritta, infine la bird-egg-syndrome, sindrome allergica osservata in soggetti che tenevano in casa canarini o altri uccelli.
Le manifestazioni più comuni coprono l’intera gamma delle allergie respiratorie, dall’asma alle riniti, alle congiuntiviti e talvolta alle dermatiti. Una gamma di reazioni che, evidentemente, viene accresciuta se si trascura l’igiene del luogo frequentato dall’animale, poiché in questo caso l’allergene non viene eliminato dalle operazioni di pulizia. Si puo’ arrivare ad avere attacchi d’asma e se le crisi si aggravano sia in quantità che in grado di severità, l’allontanamento dell’animale è obbligatorio se non si vuole rischiare una insufficienza respiratoria. Le allergie, poi, assumono aspetti diversi a seconda degli individui: i soggetti immunodepressi, le persone anziane, i bambini o le donne in gravidanza sono i più vulnerabili agli allergeni. Che cosa fare perciò per proteggerli? Eliminare tutti gli allergeni integralmente non è semplice; è evidente, però, che per soggetti predisposti l’ideale, come detto, sarebbe non tenere animali in casa. Se però non si volesse ricorrere a un provvedimento così drastico è opportuno lavare periodicamente l’animale, almeno una volta al mese e spazzolarlo in modo da eliminare il più possibile il pelo morto. Se l’animale entra in casa è preferibile, poi, confinarlo ad alcuni ambienti e, soprattutto non farlo mai entrare in camera da letto. Va anche detto che recenti studi europei hanno ribaltato alcuni luoghi comuni sugli animali domestici, arrivando a definire addirittura un effetto immunizzante, in particolare dei gatti, sui bambini; esponendo il bambino ad alte dosi di allergene fin dai primi giorni di vita è possibile che questo diventi tollerante.

La terapia e’ basata sui sintomi caratteristici dell’allergia e vanno dagli antiistaminici ai cortisonici e ai broncodilatatori usati nelle forme che si manifestano con asma.

martedì 17 novembre 2009

Allergia ai Pollini


L'allergia ai pollini ha andamento tipicamente stagionale, al contrario di altre allergie come quella alla polvere, da Dermatophagoides pterissimus e farinae , praticamente sempre presente. I sintomi si manifestano solo in un determinato periodo dell'anno, quello cioè corrispondente alla fioritura della pianta cui il polline appartiene. Il caso più frequente è quello dell'allergia alle graminacee (erbe la cui fioritura avviene nel periodo da fine aprile a fine settembre) ma negli ultimi tempi si è assistito ad un progressivo aumento delle allergie ai pollini di altre specie vegetali. E' il caso di alberi cosiddetti "a fioritura precoce" (da gennaio a marzo), come betulla, nocciolo.

La concentrazione del polline nell’aria è maggiore in pianura e nelle vallate, piuttosto che in montagna o al mare e naturalmente è più elevata in campagna che in città. Il vento associato ad una giornata di sole è la condizione climatica più favorente. Il primo tipo di polline a comparire è quello delle Betulacee, prevalente nel Nord-Italia (febbraio-aprile), mentre il polline delle Graminacee è presente in tutta la penisola ed inizia a comparire ad aprile al Centro-sud ed a maggio al Settentrione. La Parietaria, assente al di sopra dei 1000 metri di altitudine, è prevalente nel Meridione ed in Liguria. Pollini tipicamente estivi sono quelli delle Composite.

Quasi la metà di tutte le allergie sono dovute a pollini di erbe (graminacee, paritaria, composite, etc.) o alberi (betulla, nocciolo, ontano, cipresso, faggio, olivo, etc.) e la parola pollinosi sta proprio ad indicare tali forme di allergia. In Italia si stima che almeno 7-10% della popolazione ne sia affetto. le allergie si posizionano ai primi posti come malattie croniche. La prevalenza, secondo i dati dell’Oms, si attesta tra il 10 e il 40% della popolazione, a seconda delle regioni e dei periodi dell’anno. Negli Stati Uniti, l’Istituto di salute nazionale (Nih) e l’Accademia americana delle allergie e dell’asma valutano che 35 milioni di persone soffrano di sintomi allergici dovuti ad allergeni trasportati dall’aria, con i pollini ai primi posti nella classifica dei fattori che scatenano reazioni allergiche. Oltre 11 milioni sono i malati di asma. Nel loro complesso, quindi, le allergie coinvolgono dai 40 ai 50 milioni di americani, e sono la sesta causa di malattia e disabilità. In Europa, diverse società scientifiche e associazioni dei malati stimano una prevalenze delle riniti allergiche, nel loro complesso, del 10-20%, a seconda delle zone e delle stagioni, con un trend che sembra essere in crescita negli ultimi anni. Secondo la società britannica per le allergie, una persona su quattro è soggetta, almeno in un periodo nel corso dell’anno, a soffrire di allergie. Dal 1985 in Italia è attiva una Rete di monitoraggio degli allergeni aerodiffusi che misura la concentrazione in atmosfera dei principali pollini di interesse allergologico. Il monitoraggio, svolto su scala nazionale e regionale, è realizzato dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR di Bologna (Isac-CNR), in collaborazione con l’Associazione Italiana di Aerobiologia. La rete conta circa 90 stazioni di campionamento presenti sul territorio nazionale ed è collegata alla Rete Europea, European Aeroallergen Network (EAN).Proprio grazie a questa rete è stato possibile identificare una serie di allergie che non erano conosciute, come quella da cipresso che negli ultimi anni si sta dimostrando piuttosto significativa.

I sintomi che le caratterizzano sono il raffreddore, l'asma bronchiale e la congiuntivite, che possono essere presenti in maniera isolata o variamente associati.La rinite con abbondante secrezione di muco limpido (rinorrea acquosa), salve di starnuti, irritazione nasale con gradi variabili di ostruzione respiratoria. La congiuntivite, caratterizzata da intenso arrossamento congiuntivale e prurito oculare. Una lacrimazione più o meno abbondante può essere conseguenza sia della congiuntivite che della rinite. Una percentuale piuttosto elevata di adulti allergici ai pollini soffre anche di asma (in alcune statistiche il 70%), mentre nei bambini l’asma da allergia ai pollini è molto più rara.
In età pediatrica l’allergia al polline, come già detto, è molto meno frequente rispetto ad altre, quali ad esempio quella verso gli Acari. Ancora più rara è la poliallaergia pollinica (sensibilizzazione contemporanea verso più pollini). In alcuni bambini però, soprattutto se presentano una netta familiarità per allergia. Questa sindrome è caratterizzata da un’allergia a diversi pollini contemporaneamente e da una concomitante allergia ad alimenti vegetali.
L’ingestione di uno di questi alimenti durante la stagione primaverile determina l’insorgenza di sintomi immediati (alcune volpe pochi minuti) successivamente all’ingestione dell’alimento. I sintomi possono essere solo locali (bruciore linguale, tumefazione delle labbra) con risoluzione in 30-60 minuti o possono avere una progressione sistemica con evoluzione verso dolori addominali, diarrea, congiuntivite, rinite, asma, prurito cutaneo diffuso, orticaria e raramente shock anafilattico.
La cosa accade poiché gli alimenti vegetali presentano degli antigeni in comune con i pollini e ciò determina quella che si chiama cross-reazione o reazione crociata tra pollini ed alimenti.

La terapia , visto la non possibilità di allontanare i pollini dall’ambiente è farmacologica: i più usati sono gli antistaminici, da assumere per via orale, oppure sotto forma di spray nasali o di colliri congiuntivali. In alcuni casi possono essere utili i vaccini desensibilizzanti.

Evitare qualunque contatto con il polline è impossibile. Dunque alcune regole preventive diventano fondamentali:
Chiudere i vetri quando si va in automobile.

Non parcheggiare la macchina sotto gli alberi.

Come luogo di vacanze scegliere le località marine o l'alta montagna al di sopra dei 1500 metri. A quote elevate la produzione di pollini è ridotta e al mare gli stessi vengono catturati ed eliminati dall'enorme massa d'acqua che ne riduce la loro concentrazione nell'aria.

Evitare la campagna ed i luoghi in cui l'erba è stata tagliata di recente.

Dopo una giornata all'aperto è opportuno fare la doccia per rimuovere i pollini che si sono accumulati sui capelli. Sulla punta di uno spillo ci possono stare 1000 pollini: immaginiamo quanti ne possono stare tra i capelli.

Le condizioni del tempo influiscono sulla concentrazione dei pollini nell'aria: quest'ultima aumenta nelle giornate ventose, ma anche quando vi è un clima caldo (250_300 C) e con un'umidità relativa del 60-90%.

Evitare di svolgere attività all'aperto nelle ore di maggior concentrazione pollinica: notte, mattino e subito dopo in temporale. Durante la pioggia infatti i granuli pollinici si rompono in frammenti più piccoli che penetrano più facilmente nelle vie aeree.

Tenere porte e finestre chiuse specialmente durante le ore notturne e quelle del primo mattino, quando la concentrazione pollinica è maggiore.

Non tenere in camera da letto gli indumenti usati durante il giorno e non asciugare il bucato all'aperto per impedire l'accumulo di polline sullo stesso

Ciccando sul titolo si può consultare il calendario annuale dei Pollini

domenica 15 novembre 2009

Allergia agli acari della polvere di casa


Un pò di storia.

E’ responsabile del 50 per cento delle allergie respiratorie e proprio 50 anni fa l’acaro della polvere venne scoperto e messo in relazione alla polvere e alle malattie. I sintomi di allergia respiratoria causati dall’acaro sono stati oggetto di interesse scientifico fin dagli anni 1925/1930. Il ricercatore Storm van Leeween, dell’Università di Leiden, suppose che l’acaro fosse coinvolto nell’origine dell’allora misterioso “allergene della polvere della casa”. Egli tuttavia non riuscì a dimostrare una stretta relazione tra acaro e la proprietà allergenica della polvere di casa. Alla sua morte le sue osservazioni furono riprese dall’allergologo e microbiologo Prof. R. Woorhost della Clinica Universitaria di Leiden, Il quale si dedicò in particolare agli studi delle possibili fonti, come i funghi, i peli di animali, gli acari, dell’allergia della polvere di casa.

A partire dal 1962, il Prof. Woorhost iniziò a collaborare con una studentessa, dell’Università di Leiden, di zoologia e botanica, Marine Spieksma Bozeman, identificando direttamente nella polvere di casa una specie di acaro fino ad allora sconosciuta, che venne classificata come Dermatophagoides.
Marine Bozeman, proseguendo nelle sue ricerche, stabilì un rapporto tra la reattività cutanea provocata da campioni di polvere di casa e il numero di acari presenti. I suoi studi vennero proseguiti dal marito Frits Spieksma, laureatosi, con molto successo, all’Università di Leiden nel 1967, presentando la dimostrazione che 10 specie di acaro, in precedenza sconosciute, erano in verità la causa delle allergie da polvere da casa.

Gli acari della polvere (Dermatophagoides pteronissinus e farinae) sono piccoli organismi, visibili solo al microscopio, che si trovano negli ambienti ove vivono uomini e animali.
Per sopravvivere si nutrono delle microscopiche scaglie della nostra pelle (forfora e desquamazione cutanea). Essi sono innocui, salvo che nei soggetti allergici, in cui possono indurre rinite, congiuntivite, eczema, tosse e asma. Le sostanze prodotte dagli acari in grado di provocare allergia (gli allergeni) sono, in particolare, le loro feci che si liberano nell'aria e vengono facilmente inalate: di conseguenza vengono in contatto con organi o apparati sensibilizzati provocando la tipica sintomatologia allergica Vivono e si riproducono bene in ambienti caldi e umidi (umidità superiore al 70%). Preferiscono oggetti costituiti da materiale naturale (ad esempio lana) piuttosto che sintetico. La loro presenza si concentra particolarmente all'interno di cuscini, materassi, coperte e piumini. Di conseguenza la temperatura di un materasso su cui dorme un individuo (dai 20° ai 30° C), l'umidità relativa (sudore) sprigionata dal corpo umano e le squame che si staccano dalla cute del paziente (per sfregamento della pelle con le lenzuola) sono elementi ideali per lo sviluppo degli acari. La presenza degli acari dipende in parte dall’umidità dell’atmosfera: ambienti che sono allo stesso tempo secchi e freddi sono meno adatti alla loro proliferazione. Da queste sedi gli acari si diffondono nell'ambiente circostante, annidandosi preferenzialmente nei materiali che raccolgono più polvere (pavimenti, tappeti, tendaggi, peluches, libri).
Il periodo di massima concentrazione ambientale è costituito dalle stagioni autunnale ed invernale. Gli acari non sopravvivono ad altitudini superiori ai 1500 metri.

La profilassi ambientale è fondamentale


Con opportuni interventi sull'ambiente (profilassi ambientale) è possibile:
. ridurre, nelle persone allergiche, la gravità della sintomatologia, il consumo di
farmaci e la necessità di frequenti ricoveri in ospedale
. prevenire la comparsa di malattie allergiche
. ostacolare la comparsa di asma nei bambini che hanno eczema ed allergia
alimentare e che sono quindi ad alto rischio di successivo sviluppo di malattie
allergiche dell'apparato respiratorio
. fare regredire la sensibilità agli allergeni ed i sintomi da allergia
. diminuire il rischio di sviluppare allergia a più sostanze, fenomeno che comporta lo
sviluppo di sintomi più gravi
. prevenire la comparsa di malattie allergiche nei figli delle persone allergiche.

La terapia farmacologica si basa sull’uso di antistaminici e cortisonici, oltre i supporti farmacologici in caso di sintomi respiratori come asma. In alcuni casi il
medico specialista può prescrivere una terapia desensibilizzante che
prevede l’utilizzo di un vaccino antiallergico.

Arredare la camera da letto del bambino con mobili semplici, possibilmente di superficie liscia e di forma regolare, che possano essere facilmente puliti a fondo tutti i giorni. Eliminare mobili imbottiti con lana, piume o materiali vegetali.
Usare copri materassi e copricuscini in materiale impermeabile agli allergeni, ma traspirante. Nessun materasso è da considerarsi privo di allergeni e anche quelli in lattice contengono acari al contrario di quanto comunemente ritenuto.
Coperte e sopraccoperte devono essere lavate frequentemente (ogni una - due settimane) e messe ad arieggiare tutti i giorni. Anche le lenzuola devono essere lavate spesso (almeno una volta alla settimana) in acqua molto calda (a 55-60°C). Il bambino allergico deve evitare di fare giochi che permettano ai dermatophagoides di migrare da un psto all’altro tipo salti su letti e moquette.
Tende e tappeti devono essere di cotone o tessuto sintetico e vanno lavati frequentemente. Le tende è preferibile che siano piccole, "a finestra".
Il pavimento deve essere facilmente pulibile: consigliabile il pavimento in ceramica o marmo ed accettabile quello in legno o linoleum. È invece sconsigliata la moquette che anzi va rimossa in presenza di allergie gravi.
Tenere pochi giocattoli, libri, giornalini e soprammobili vari (tutti oggetti in cui si accumula la polvere) e mantenerli il più possibile chiusi in cassetti o armadi. Evitare i giocattoli di peluche e preferire, invece, quelli di metallo, legno, gomma. Gli animali di peluche possono essere messi nel freezer per 12-24 ore, lasciati poi a temperatura ambiente per 30-60 minuti ed infine lavati delicatamente: le basse temperature uccidono infatti gli acari che vengono successivamente rimossi con il lavaggio. Non tenere animali imbalsamati.
Per le pulizie domestiche usare un aspirapolvere elettrico adeguato, dotato di filtri ad alta efficienza, e panni umidi: non eseguirle comunque in presenza del bambino. Efficace si è dimostrata anche la pulizia con vapore (150°C). Aprire le finestre durante le operazioni di pulizia. Usare sacchetti per l’aspirapolvere a doppio spessore o filtri con piccoli pori può ridurre in maniera consistente l’ammontare di acari nell’aria. I pazienti più sensibili potrebbero trovare conveniente indossare una maschera mentre si passa l’aspirapolvere per ridurre l’ammontare di allergene inalato.
Il sistema di riscaldamento può essere fonte di abbondante polvere: pulire attentamente i termosifoni. Nelle case fornite di aria condizionata l'applicazione di filtri può diminuire la concentrazione allergenica. Nelle case umide o in periodi di umidità elevata far funzionare un deumidificatore. Un altro modo per ridurre la formazione degli acari è ridurre l’umidità in casa a meno del 50% e mantenere la temperatura della stanza a 21 gradi .
Gli irritanti respiratori come i detergenti per la casa, i cosmetici profumati e i
prodotti di pulizia, i colori e le vernici fresche devono essere evitati o confinati in zone ben ventilate.
Non esporre il bambino al fumo della sigaretta, sia attivo che passivo: chi è esposto al fumo passivo presenta infatti un rischio aumentato di due - tre volte di sviluppare malattie allergiche rispetto a chi non è esposto.
Alcune semplici regole di profilassi possono ridurre il rischio di patologia

giovedì 12 novembre 2009

Achtung bambini: un reportage sull'infanzia

Ho letto la recensione di questo libro-testimonianza (Achtung Bambini di di Giuliano Crisalli) e l'impressione che ne ho avuto e' devastante.Ci sono i numeri e le testimonianze di chi ha vissuto e vive realtà terribili e prova a denunciarle. Tante storie, una dietro l'altra, spesso simili quasi a rappresentare una catena infinita di dolore. Dai bambini-soldato agli schiavi (non importa se inseriti nel vergognoso mercato del turismo sessuale o della mendicità o di uno sfruttamento chiamato “lavoro”), dai mutilati per le mine anti-uomo sparse in tante zone del mondo alle piccole vittime dei trafficanti di organi, agli innocenti malati di Aids e ai milioni di esseri privati di cibo, cure mediche, istruzione, fino ai fanciulli che abitano ai margini delle strade delle grandi città.
Crisalli, non cede mai alla commozione perché prova a non lasciarsi dominare dagli avvenimenti che racconta, ma si indigna e chiama tutti a raccolta, coinvolgendo il lettore al punto da farci sentire responsabili per i lunghi silenzi di una società cosiddetta civile, per quanto è avvenuto, avviene e accadrà, a milioni di innocenti: in Africa, Asia, nelle Americhe, in Australia, nella nostra Europa.

domenica 8 novembre 2009

SIDS ovvero Morte improvvisa del lattante

La SIDS (clicca sul titolo) rappresenta la prima causa di mortalità nella fascia di età da 1 a 12 mesi di vita. La SIDS è più frequente tra i due e i quattro mesi e dei bambini che muoiono circa il 60% sono maschi.

I bambini deceduti per SIDS muoiono sia di giorno che di notte, sia in culla che nel passeggino, sia nel seggiolino della macchina che in braccio ai genitori.
La diagnosi di SIDS è una diagnosi di esclusione ed è necessario escludere altre cause note (cardiopatie, mal. infettive, maltrattamento). Spesso per trovare la causa è necessario eseguire un' autopsia ed una valutazione della morte .L’incidenza della SIDS varia da casistica a casistica, da un minimo di 0,5 per 1000 nati vivi, ad un massimo di 1,5 per mille. In Italia nascono ogni anno 500.000 bambini circa quindi fino a circa 1.500 possono essere le morti dovute a SIDS (dati ufficiali).
Sono stati identificati dei precisi cofattori di rischio e, tra questi il principale sia quello di mettere il bambino a dormire in posizione prona (a pancia in sotto).
Altri cofattori di rischio sono: caldo eccessivo, fumo della madre in gravidanza, fumo passivo, infezioni delle vie respiratorie, prematurità e familiarità. L’allattamento al seno è stato dimostrato un fattore protettivo in varie pubblicazioni scientifiche. Non potendo prevenire questo evento drammatico, possiamo usare delle norme di comportamento “preventivo” di SIDS:
• posizione durante il sonno: consigliata la posizione supina
• Evitare di fumare vicino al bambino, non sottoponendolo a fumo passivo.
• Temperatura idonea degli ambienti 18-20C°: non copritelo troppo, non fatelo sudare.
• Uso del ciuccio
In Gennaio 2006 in Italia e' stata varata una legge ( Legge 31/2006 ) .che impone l'autopsia per i decessi dovuti a Sids oltre che a feti deceduti improvvisamente dopo la 25° settimana. Lo scopo è quello di indagare sulle cause della morte del bambino, ed aiutare i genitori a capire le cause e anche permettendo loro di elaborare meglio il lutto della perdita subita.In Usa esistono associazioni che aiutano le famiglie colpite da SIDS.

martedì 3 novembre 2009

Influenza H1N1 e SIP

"Il presente documento deriva dalla necessità, da parte della Società Italiana di Pediatria (SIP) ed alcune Società scientifiche affiliate primariamente coinvolte, quali la Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP) e di Emergenza e Urgenza in Pediatria (SIMEUP), di esprimere sinteticamente agli organi istituzionali ed ai colleghi la loro posizione scientifica e professionale relativamente all’influenza stagionale ed alla nuova forma pandemica (A/H1N1). Tale necessità sorge anche dal rilevante impatto mediatico di quest’ultima e dalle peculiarità ad essa connesse in ambito pediatrico."

Inizia così il documento della SIP sull'influenza H1N1, argomenti principe ed trattato dai Mass-Media come un bollettino di guerra e scarsa affidabilita' scientifica. Si sta diffondendo un panico generalizzato, controproducente per le autorità preposte all'informazione, ai sanitari sia ospedalieri sia sul territorio.Non commento nè intendo dare giudizi generici sulla "Pandemia " influenzale, nè tanto meno indicare consigliare di veccinare o no i propri bambini.
Intendo dare uno strumento di conoscenza sulla Influenza H1N1 dal punto di vista di un organo ufficiale pediatrico e fare un pò di luce nella confusione che regna circa l'argomento. Dunque, leggete , l'articolo che segue ed eventualmente aprite una discussione sull'argomento.

"2° Aggiornamento Comitato Tecnico SIP
Nuova influenza A/H1N1: peculiarità in ambito pediatrico
Il presente documento deriva dalla necessità, da parte della Società Italiana di Pediatria (SIP) ed alcune Società scientifiche affiliate primariamente coinvolte, quali la Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP) e di Emergenza e Urgenza in Pediatria (SIMEUP), di esprimere sinteticamente agli organi istituzionali ed ai colleghi la loro posizione scientifica e professionale relativamente all’influenza stagionale ed alla nuova forma pandemica (A/H1N1). Tale necessità sorge anche dal rilevante impatto mediatico di quest’ultima e dalle peculiarità ad essa connesse in ambito pediatrico.

Definizione di caso di influenza in bambini

La diagnosi di influenza è generalmente basata su criteri clinico-epidemiologici.
In età pediatrica l’influenza può manifestarsi esclusivamente come un’infezione a carico delle alte vie aeree o come una sindrome febbrile con scarsi segni respiratori associati. Nei neonati e nei lattanti non sono inusuali vomito e diarrea. Bambini con influenza possono andare incontro, specie nei primi anni di vita, ad una progressione della malattia, specie a carico delle basse vie aeree, talora anche in modo rapido.
La frequenza di infezioni con sintomatologia simil-influenzale è sensibilmente maggiore nei bambini rispetto all’adulto (basta ricordare che un bambino “sano” di 2-3 anni all’inserimento in comunità fa mediamente sei di questi episodi durante la stagione invernale). Ciò crea un’accentuazione della problematica legata alla definizione di caso sospetto o probabile di influenza da virus A/H1N1, alla notifica dello stesso a fini di sorveglianza e all’identificazione dei percorsi ottimali dei bambini afferenti alle strutture sanitarie ( ambulatori, pronto soccorso, reparti di degenza ospedaliera). Ne deriva la necessità di un’ attenta e distinta valutazione dei vari aspetti pediatrici della nuova pandemia, sia a livello nazionale che locale.

Gestione del bambino con influenza
Sulla gestione della sindrome influenzale è stato recentemente pubblicato dal sistema nazionale per linee guida un documento mirato (n° 16). Per quanto riguarda i bambini è opportuno ricordare che i bambini con influenza devono in generale essere gestiti sul territorio. Per quelli a rischio di malattia grave o di complicanze può essere opportuno un controllo medico ripetuto, per identificare precocemente l’aggravarsi della situazione e provvedere ad un eventuale ricovero.
Una recente ordinanza ministeriale ( 5 dicembre) invita i pediatri di libera scelta a attivare un triage telefonico e le Regioni a potenziare l’assistenza sul territorio in caso di accentuarsi della malattia.
Fra le indicazioni al ricovero ospedaliero rientrano bambini con segni e/o sintomi di influenza grave o complicata e bambini di età < 3 mesi indipendentemente dal quadro clinico (alcuni esperti suggeriscono di estendere il ricovero a tutti i soggetti di età < 6 mesi).
In corso di epidemia, ci si troverà ad affrontare un iperafflusso alle strutture ospedaliere (in particolare al pronto soccorso, notoriamente già spesso in situazione critica). In tale scenario i pediatri di libera scelta avranno un’importante funzione “filtro” e dovranno occuparsi della gestione ambulatoriale dei pazienti, inviando ai reparti ospedalieri unicamente i casi gravi.
Da notare che un possibile potenziamento della guardia medica avrà un impatto limitato sul prevedibile sovraccarico di lavoro richiesto ai pediatri sul territorio e al pronto soccorso.
Emerge la necessità di far capire alla popolazione che non esiste un valore aggiunto nel recarsi in pronto soccorso (PS). La diagnosi precisa del virus responsabile di una sindrome influenzale non è indispensabile ai fini terapeutici e in PS non verrà fatto alcun tentativo di diagnosi eziologica, a meno che il bambino non necessiti di ricovero. Va, inoltre, sottolineato che il PS in periodo epidemico costituisce un luogo di maggior potenziale pericolo per il contagio.
La gestione dei pazienti, inclusi quelli critici, dovrà mantenere distinte le necessità pediatriche da quelle dell’adulto. Inoltre, è marginale l’attenzione al momento rivolta ai bambini che necessiteranno di ricovero in ospedale. In quest’ottica è auspicabile il potenziamento di posti letto nelle UU.OO. di pediatria anche per la gestione semi-intensiva dei bambini, al fine di poter garantire ai pazienti pediatrici realmente critici l’assistenza in reparti di terapia intensiva, che altrimenti sarebbero sovraccarichi di ricoveri impropri.
Non vi sono dati certi sulla durata dell’eliminazione del nuovo virus A H1N1; i virus influenzali tendono però a replicarsi più a lungo nel bambino. Va sottolineato che un bambino con influenza non dovrebbe ritornare in comunità prima di 7 giorni dall’inizio dei sintomi.

Terapia con antivirali
Il nuovo virus pandemico risulta sensibile agli inibitori della neuroaminidasi (oseltamivir e zanamivir). Gli studi in bambini con influenza trattati con questi farmaci si riferiscono alla forma stagionale, non alla nuova forma pandemica. Una recente metanalisi su 1766 bambini indica che il loro uso riduce mediamente di un giorno la sintomatologia, senza modificare invece il ricorso ad antibiotici. Uno studio, retrospettivo, su oltre 5000 bambini con malattie croniche attesterebbe l’efficacia dell’oseltamivir nel prevenire le complicanze e il ricorso all’ospedalizzazione in bambini a rischio.
Lo zanamivir è approvato per la terapia in bambini di oltre 6 anni (vedi tabella 1).
L’oseltamivir è approvato per la terapia in bambini di età superiore ad un anno. Non esitono studi su ampie casistiche relativi alla sua farmacocinetica, efficacia e sicurezza al di sotto di questa età. Ricerche su modelli animali hanno mostrato una concentrazione del farmaco più elevata nel sistema nervoso centrale in ratti giovani rispetto a quelli adulti; complicanze neurologiche sono segnalate in paesi dove il prodotto è stato di largo impiego.
A seguito del diffondersi della nuova pandemia, la FDA negli USA e l’EMEA in Europa hanno approvato l’uso di oseltamivir anche in lattanti con età inferiore ad un anno. L’opportunità di somministrare in terapia l’oseltamivir in bambini in questa fascia di età deve essere valutata caso per caso, anche in relazione all’entità delle manifestazioni cliniche, o, per la profilassi, al rischio di complicanze.
Importante ricordare che in Italia l’oseltamivir dovrebbe essere reperibile in ogni farmacia territoriale ed è inquadrato in fascia C. In pratica, non sempre è rinvenibile ed, in particolare, non sono al momento (metà ottobre 2009) reperibili le formulazioni pediatriche (sciroppo -registrato- e capsule da 30 e 45 mg -da registrare). Qualora si renda necessario la somministrazione di oseltamivir ad un bambino (a dosi inferiori rispetto alle capsule da 75 mg utilizzate nell’adulto) ci si deve quindi avvalere di una farmacia ospedaliera o in grado di approntare preparazioni magistrali, che vanno somministrate sotto la diretta responsabilità del medico prescrittore.
Vi sono timori che un uso sistematico ed indiscriminato di antivirali favorisca la comparsa di ceppi virali resistenti, come segnalato per l’influenza stagionale in paesi che ne hanno fatto largo impiego. Casi aneddotici di resistenza ad antivirali sono segnalati anche per virus influenzale A/H1N1.
Poiché i dati disponibili suggeriscono che l’infezione da A/H1N1 causi nella stragrande maggioranza dei casi una malattia respiratoria acuta autolimitantesi, i bambini che non presentino complicanze e non rientrino nelle categorie a rischio non richiedono trattamento con antivirali.
Le ultime disposizioni ministeriali (30 settembre 2009) indicano che inibitori delle neuramidasi nei bambini e negli adolescenti deve essere limitato a:
1) quelli appartenenti ai gruppi a rischio per gravi complicanze, con patologie croniche, cardiache epatiche, renali, ematologiche, neuromuscolari, metaboliche (compreso il diabete), malatie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinali, immunodepressione congenita o acquisita (HIV), malformazioni congenite, paralisi cerebrali;
bambini senza fattori di rischio, ma ricoverati in ospedale per sintomi gravi attribuibili all’infezione da A/H1N1 (dispnea, ipossia, alterazioni del sensorio);
Le complicanze più frequenti associate all’influenza sono rappresentate da: insufficienza respiratoria acuta, polmoniti, alveoliti emorragiche, quadri simil-settici, manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale come le encefaliti, infezioni batteriche gravi, miositi, miocarditi. Se queste ed altre condizioni cliniche gravi possono associarsi all’influenza, in periodo epidemico l’influenza va a sua volta considerata nella diagnosi differenziale di queste forme.
Nei soggetti ospedalizzati è indicato l’accertamento virologico, mediante PCR, su tampone nasofaringeo o su espettorato prima di iniziare il trattamento con antivirali.
I bambini trattati devono essere accuratamente seguiti per l’eventuale insorgenza di effetti collaterali, il più frequente dei quali è rappresentato dal vomito significamente aumentato nella citata metanalisi. Il vomito ripetuto potrebbe, infatti, rappresentare un temibile evento avverso nella prima infanzia, quando il rischio di disidratazione è maggiore.
Se i bambini con complicanze vanno trattati in ospedale, quelli a rischio con sintomatologia in atto senza complicanze potrebbero essere trattati a domicilio, ma va garantito un adeguato follow-up (presupponendo ovviamente che le formulazioni pediatriche siano disponibili).
Le dosi dei farmaci consigliati per la terapia sono riportate nella tabella 1.
La terapia dovrebbe essere somministrata entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi per garantirne l’efficacia. In casi gravi, si è osservato che può essere utile anche il trattamento iniziato oltre 48 ore dall’inizio dei sintomi.
La durata della terapia negli studi è stata di 5 giorni; da alcuni autori viene consigliato di sospendere il trattamento dopo 48 ore dalla scomparsa dei sintomi. Nei casi gravi pare ragionevole mantenerla fino a miglioramento del quadro clinico. L’eliminazione del virus dopo l’inizio della terapia sembra intorno ai 4 giorni, ma non vi sono dati certi.

L’uso di antibiotici non è raccomandato in corso di influenza in quanto non previene eventuali sovrainfezioni batteriche e può anzi condurre ad un aumento del fenomeno dell’antibioticoresistenza. D’altra parte, alcuni batteri possono complicare le infezioni da virus influenzali. L’impiego di antimicrobici va quindi riservato solo ai casi con ragionevole evidenza di infezione batterica invasiva o localizzata.
L’utilizzo di farmaci sintomatici dovrebbe avvenire solo dopo consiglio del medico. Si raccomanda la non somministrazione di salicilati (di ogni tipo) a soggetti con sindrome influenzale di età < 19 anni per il rischio di sindrome di Reye.
Visto il decorso più grave della malattia in gravidanza e non essendovi evidenza di teratogenicità, viene raccomandato l’uso degli antivirali sia per il trattamento che per la profilassi delle donne in gravidanza.
Non è controindicatol’impiego terapeutico o profilattico degli antivirali nelle madri che allattano.

Profilassi con antivirali
La suddetta ordinanza ministeriale indica di limitare la profilassi con inibitori della neuraminidasi a bambini che rientrino nelle categorie a rischio per lo sviluppo di complicanze (vedi tabella 1), che non siano stati vaccinati ed abbiano avuto stetti contatti con persone infette. E’ opportuno ricordare che la vaccinazione non garantisce la protezione alla totalità dei vaccinati e che al momento non è nota l’efficacia dei singoli vaccini nei gruppi di bambini a rischio. D’altra parte, tali soggetti potranno venire a contatto nel periodo autunno-invernale con molte persone con febbre, rinite e tosse d’origine indeterminata.
La profilassi può essere consigliata , sulla base di un’appropriata valutazione del rischio, per gli operatori sanitari, non vaccinati, che siano incorsi in un’esposizione a materiale biologico potenzialmente infettante o che abbiano avuto contatto faccia-a-faccia con casi confermati senza aver osservato le precauzioni standard né utilizzato in modo adeguato i dispositivi di protezione individuale.
La durata della profilassi post esposizione dovrebbe essere di 10 giorni dal contatto. Si sottolinea che l’uso preventivo degli antivirali può condurre ad un significativo aumento di varianti virali resistenti e va, quindi, limitato ai casi che ne possono realmente trarre beneficio.
Le dosi dei farmaci indicati in profilassi sono riportate nella tabella 1.
Non si può trascurare che, al momento, la suddetta mancanza di sciroppo e capsule pediatriche rende di fatto oltremodo difficile attuare la profilassi nei primi anni di vita, specie sul territorio.

Vaccinazione

E’ questo uno dei temi su cui è più problematico esprimere pareri scientifici basati sull’evidenza, vista la limitatezza dei dati disponibili in letteratura per i vaccini anti-H1N1. Si tratta di prodotti diversi, che non possono quindi essere raggruppati in termini di sicurezza ed efficacia. Alcuni quesiti e dubbi non possono quindi trovare risposte definitive immediate. A fronte del crescente rischio di esplosione dell’epidemia, la comunità scientifica e i vari organismi istituzionali preposti alle scelte delle strategie vaccinali devono cimentarsi con l’acquisizione pressoché quotidiana di nuove informazioni e risultati di studi mirati, che si traducono necessariamente in decisioni operative in continua evoluzione.
L’EMEA ha inizialmente approvato due vaccini contenenti adiuvante anti-A/H1N1 (Focetria, Novartis; Pandemrix, GSK) sulla base dei risultati ottenuti in 6000 soggetti, approvazione valida anche per donne gravide e bambini (> 6 mesi-18 anni). Le dosi consigliate sono due, indipendentemente dall’età, anche se alcune recenti segnalazioni suggeriscono che la sieroconversione potrebbe richiedere una sola dose dopo la prima decade di vita. La sieroconversione risulta invece limitata dopo una dose sino a 10 anni di vita. Recentemente è stato approvato un terzo vaccino (Celpavan, Baxter); anche in questo caso si tratta di un vaccino inattivato, che però non contiene adiuvante.
Varie agenzie internazionali di prevenzione e sanità pubblica hanno nel frattempo diffuso indicazioni all’uso del vaccino per l’influenza A/H1N1. Fra le voci più autorevoli, l’Advisory Committee on Immunization Practice (ACIP), ha identificato 5 gruppi di soggetti che dovrebbero essere vaccinati qualora il vaccino fosse disponibile su larga scala. Fra questi rientrano tutti i bambini da più di 6 mesi a 18 anni (da notare che secondo l’ACIP ciò vale anche per la stagionale) . Nel frattempo,a fronte di una disponibilità ancora limitata di vaccini, le priorità in ambito pediatrico sono delineate in base al rischio di sviluppare complicanze o di andamento severo della malattia. In particolare, l’ACIP raccomanda la vaccinazione prioritaria per le seguenti classi:
• tutti i bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 anni (inclusi)
• bambini e adolescenti di età compresa tra i 5 e 18 anni affetti da condizioni croniche associate a rischio di un decorso più grave di malattia
• persone che hanno contatti stretti ( caregivers) con bambini di età < 6 mesi

In Italia, per quanto attiene i bambini e le mamme l’ultima ordinanza ministeriale indica che , in ordine di priorità, la vaccinazione verrà offerta a
1)donne al II o III trimestre di gravidanza; donne che hanno partorito da meno di 6 mesi o, in loro assenza, la persona che assiste il bambino in maniera continuativa.
2) bambini a rischio (i cui gruppi vengono specificamente definiti – comma 2 dell’art 1 della precedente Ordinanza -11 settembre 2009.) I gruppi sono simili a quelli illustrati nella tabella. In una recente ordinanza (5 ottobre ) viene indicato che ai medici generici e pediatri di libera scelta verranno inviati elenco e codici ICD9 dei loro assistiti. Un secondo gruppo da inserire in questa categoria a rischio è quello dei bambini con meno di 24 mesi nati gravemente pretermine. In quest’ottica da notare che la vaccinazione verrà offerta anche a quei soggetti con condizione di familiare o di contatto stretto con soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati.
3) bambini > 6 mesi che frequentano l’asilo nido; minori che vivono in comunità o istituzionalizzati,
4) persone di età compresa tra più di 6 mesi e 17 anni, non incluse nei precedenti punti, sulla base degli aggiornamenti della scheda tecnica autorizzativa dall’EMEA.
Uno dei messaggi prioritari da trasmettere all’opinione pubblica onde evitare ingiustificati allarmismi è che la nuova infezione pandemica ha ad oggi un andamento sovrapponibile rispetto a quella stagionale. Sorprende che solo per il nuovo virus influenzale, e non per l’influenza stagionale, si parli di vaccinazione di massa in bambini. La scelta può trovare varie motivazioni razionali, fra cui l’impatto sul numero totale di casi ed il rapporto costo/beneficio, ma può risultare apparentemente antitetica se non adeguatamente illustrata, non dimenticando il ruolo cardine da sempre svolto dei pediatri in relazione all’informazione per ogni tipo di vaccinazione.
Per l’influenza stagionale il vaccino è già disponibile. Le indicazioni alla vaccinazione non dovrebbero essere dissimili fra influenza stagionale e pandemica, specie per le categorie a rischio e bambini < 5 anni. Il ministero ritiene possibile la co-somministrazione (stagionale + nuova influenza), utilizzando però due sedi distinte e utilizzando il vaccino contro l’influenza stagionale non adiuvato, onde ridurre il possibile sommarsi di reazioni avverse. La recente approvazione da parte dell’EMEA di un vaccino verso A/H1N1 non adiuvato potrebbe rendere possibile anche altre opzioni. I tempi necessari per avere a disposizione il vaccino verso anti-H1N1 sono ovviamente importanti per le scelte operative che, sulla base delle indicazioni ministeriali, dovranno poi essere fatte dalle singole Regioni.
Per garantire rapidamente la massima copertura vaccinale, una possibilità, che trova ampio consenso, è che i bambini a rischio vengano vaccinati, sia per la stagionale che per il nuovo virus, dai centri specialistici, con conseguente potenziamento ed integrazione della vaccinazione praticata dalle ASL o dai pediatri di famiglia. Il fatto che il vaccino anti-H1N1venga fornito in flaconi multidose (10 dosi) che una volta aperti vanno utilizzati entro 24 ore, impone una adeguata programmazione degli assistiti da sottoporre a vaccinazione.
Tabella 1. Trattamento farmacologico dell’influenza A H1N1 in età pediatrica
Oseltamivir (Tamiflu):
per os Età Peso Dose terapeutica Dose profilattica
1-12 anni < 15 kg 30 mg 2 volte/die per 5 giorni 30 mg 1 volta/die per 10 giorni
>15-23 kg 45 mg 2 volte/die per 5 giorni 45 mg 1 volta/die per 10 giorni
>23-40 kg 60 mg 2 volte/die per 5 giorni 60 mg 1 volta/die per 10 giorni
> 40 kg 75 mg 2 volte/die per 5 giorni 75 mg 1 volta/die per 10 giorni
≥13 anni 75 mg 2 volte/die per 5 giorni 75 mg 1 volta/die per 10 giorni
Il trattamento per soggetti di età < 1 anno registrato dall’EMEA è di 2-3 mg/kg 2 volte al giorno per 5 giorni; per la profilassi la dose indicata è di 2-3 mg/kg 1 volta al giorno per 10 giorni.
Al di sotto dell’anno di età la posologia suggerita è la seguente.
Età Dosaggio
Terapia Profilassi
< 3 mesi 12 mg 2 volte al giorno per os per 5 giorni Non raccomandata a meno di situazioni critiche eccezionali per la mancanza di dati in questa fascia di età
3-5 mesi 20 mg 2 volte al giorno per os os per 5 giorni 20 mg 1 volta al giorno per os 10 giorni
6-11 mesi 25 mg 2 volte al giorno per os os per 5 giorni 25 mg 1 volta al giorno per os 10 giorni
In caso di insufficienza renale (clearance della creatinina < 30 ml/min/1,72 m2) la dose di oseltamivir deve essere dimezzata: 1 dose al giorno nella terapia, 1 dose a giorni alterni nella profilassi
Dal momento che il cibo non influenza l’assorbimento del farmaco si consiglia di assumerlo con il cibo per ridurre l’eventualità di nausea o vomito specie in bambini

Zanamivir (Relenza):
per inalazione ≥ 7 anni 2 inalazioni (totale 10 mg) 2 volte/die per 5 giorni Non raccomandato, ma suggerite 2 inalazioni (totale 10 mg) 1 volte/die per 10 giorni (proposta per i soggetti > 5 anni)
Può essere di prima scelta per la profilassi nella gravida
Al momento non sono segnalate interazioni farmacologiche per zanamivir, mentre per oseltamivir potrebbero esservi interazione con farmaci ad eliminazione renale che potrebbero ridurne la clearance (per es. probenecid).

Tabella 2. Bambini con patologie croniche in cui l’influenza si associa a maggior rischio di complicanze o di decorso severo

Diabete Mellito Tutti
Emoglobinopatie Tutti
Malattie polmonari croniche diverse dall’asma Tutti i bambini, compresi coloro con anomalie significative dell’apparato respiratorio (broncodisplasia, tracheotomia, cleft lip/palate, laringomalacia, S. Pierre Robin)
Asma Bambini di ogni età in profilassi quotidiana con corticosteroidi inalatori, cromoni, salmoterolo o antagonisti dei leucotrieni (asma persistente).
Bambini > 24 mesi con storia di broncoreattività o asma documentata in profilassi episodica o quotidiana con broncodilatatori.
Malattie metaboliche ed endocrinologiche Tutti
Disordini genetici Bambini le cui alterazioni aumentino il rischio di complicanze d’organo
Malattie cardiache Cardiopatie congenite e cardiomiopatie
Malattie renali croniche Tutti i bambini
Gravi disordini epatici (insufficienza) o cirrosi Tutti i bambini
Terapia prolungata con salicilati Tutti i bambini
Malattie neurologiche o neuro-muscolari Disordini progressivi e non del sistema nervoso centrale o periferico, miopatie, stati epilettici, paralisi cerebrale, encefalopatia ipossico-ischemica, microencefalia e disordini cerebrali congeniti (in modo particolare se associati a disturbi respiratori o della deglutizione).
Immunocompromessi • Immunodeficienze primarie ed acquisite (HIV)
• Collagenopatie ed artrite idiopatica giovanile (AIG)
• Neoplasie/ leucemie
• Terapia immunosoppressiva
Malattie infiammatorie croniche intestinali o sindrome da malassorbimento • Pazienti con patologia in atto o in terapia immunosoppressiva
Per quanto riguarda il vaccino ci pare utile segnare che a fronte di una maggior frequenza di forme severe di infezione da virus A/H1N1 in adulti obesi (spesso con associata morbilità), non ci sono
evidenze sovrapponibili fra bambini obesi. L’inclusione dell’obesità tra le priorità vaccinali in età pediatrica rimane quindi esclusivamente per analogia a quanto rilevato in adulti.

Comitato Tecnico della SIP-Influenza A/H1N1
Pasquale Di Pietro (Presidente SIP, Genova)
Pier-Angelo Tovo (Coordinatore, Torino)
Bona G. (Novara), Castagnola E. (Genova), Colombo C. (Milano), Conforti G. (Genova)
De Martino M. (Firenze), Esposito S. (Milano), Galli L. (Firenze), Giacchino R. (Genova)
Guarino A. (Napoli), Lorini R. (Genova), Mele G. (Lecce), Paravati F. (Crotone)
Principi N. (Milano), Rossi G. (Genova), Rossi P. (Roma), Scolaro C. ( Torino), Tucci M. (Milano)
Ugazio A. (Roma), Urbino A. ( Torino), Vitale A. (Avellino), Zuccotti G.V. (Milano)

domenica 11 ottobre 2009

Rapporto Unicef "Progressi per l'infanzia" dedicato alla protezione dell'infanzia

Ancora un'iniziativa dell'Unicef per i bambini ...quelli battuti o violentati fisicamente o psicologicamennte, dimenticati, quelli sfruttati, e non dimentichiamo quelli uccisi dai conflitti, dalla fame, delle malattie.Da un'indagine effettuata su 37 paesi, risulta che l'86% dei bambini dai 2 ai 14 anni patisce punizioni fisiche e/o aggressioni psicologiche.», dichiara il Presidente dell'UNICEF Italia Vincenzo Spadafora.«Nonostante i progressi compiuti, violenza e sfruttamento rimangono una dura realtà nella vita di molti bambini» aggiunge Spadafora.

«Milioni di ragazzi, prosegue, e ragazze di tutto il mondo sono vittime della tratta, sono privi delle cure genitoriali o della registrazione alla nascita di cui hanno bisogno per frequentare la scuola e per accedere all'assistenza sanitaria di base.

Milioni di ragazzi sono costretti a lavorare in condizioni pericolose, mentre altri subiscono violenze o abusi all'interno delle loro stesse case, nelle loro scuole, nelle loro comunità, nelle istituzioni o in prigione, spesso da parte di adulti a cui è affidata la loro cura.
Basta con tutto questo....

Per consultare il testo Unicef integrale e scaricare gli allegati , cliccare sul titolo.

sabato 10 ottobre 2009

Quei bozzetti sul collo...

… una semplice infiammazione o una malattia impronunciabile…prima di continuare un po’ di anatomia e fisiologia del linfonodo e nel liquido che scorre nei vasi linfatici.

I linfonodi sono corpuscoli di forma ovoidale, di dimensioni variabili da 2-3 mm a 2-3 cm. Sono costituiti da tessuto linfoide, cioè da un tessuto emopoietico, la cui funzione è quella di produrre linfociti e monociti. Ogni linfonodo è rivestito da una capsula connettivale, dalla quale si dipartono delle trabecole che suddividono la superficie del linfonodo in una zona corticale, contenente noduli linfatici, e una zona midollare, nella quale si trovano
cordoni di cellule linfocitarie. In un punto ben preciso del linfonodo, detto ilo, entrano vasi e nervi e fuoriescono i vasi linfatici efferenti (in numero di uno o due). I vasi linfatici afferenti, che sono molto più numerosi di quelli efferenti,
entrano nel linfonodo in diversi punti della sua superficie. I linfonodi vengono distinti in superficiali e profondi, a seconda che siano situati al di sopra della fascia toracica o al di sotto di essa. Sono posti lungo il decorso delle vie linfatiche e possono trovarsi isolati o riuniti a formare delle stazioni linfatiche nelle quali confluisce la linfa proveniente da un determinato territorio del nostro organismo. Le principali stazioni linfonodali sono l’ ascellare, l’ inguinale e la cervicale.


La linfa è il liquido chiaro, trasparente e incolore che scorre nei vasi linfatici, la cui composizione varia in rapporto al distretto corporeo da cui origina. Fondamentalmente costituita da acqua, proteine, elettroliti e linfociti, rispetto al
sangue manca di globuli rossi. Rappresenta, di fatto, quella parte di liquido interstiziale che non viene recuperato attraverso il processo di osmosi; questo liquido deve far ritorno al sangue, affinché il volume ematico e la pressione arteriosa del nostro organismo non diminuiscono in modo patologico.La linfa,quando attraversa i linfonodi, abbandona batteri e corpi estranei, che vengono fagocitati dai macrofagi, cellule preposte proprio a questo scopo, e si arricchisce di anticorpi, linfociti e monociti, che devono raggiungere l'apparato circolatorio. La linfa proveniente dai vasi linfatici dell' intestino è chiamata chilo e risulta molto ricca delle sostanze lipidiche (colesterolo e acidi grassi), derivate dalla digestione degli alimenti.

Tornando ai nostri linfonodi ingrossati: normalmente i linfonodi non sono apprezzabili al tatto, e per farlo occorre che queste formazioni abbiano raggiunto un certo volume ed in questa occasione è possibile studiarne la forma, la consistenza, la dolorabilità, la mobilità ed il tipo di rapporti stabilito con la cute. Tumefazioni di linfonodi per lo più circoscritte si hanno nei fatti infiammatori acuti, maggiormente nelle infezioni e si presentano ingrossate ma anche dolenti, soprattutto al tatto, oppure alla pressione ed è possibile accorgersi del contestuale arrossamento della cute che si presenta anche calda in corrispondenza del linfonodo stesso.
I linfonodi si presentano elastici e duri ma quando siamo in presenza di un’infezione acuta provocata da germi patogeni, tali formazioni si presentano alla palpazione per lo più di consistenza molle e la stessa cute si fa più rossa e quanto mai lucente e oltre che nelle patologie causate da infezioni acute, si possono presentare tumefatti anche per effetto di altre cause, pensiamo alle infezioni croniche o neoplastiche.
Nei bambini e negli adolescenti i linfonodi possono apparire leggermente ingrossati anche in assenza di patologia. Esistono bambini “ linfatici”nei quali le linfoghiandole si possono presentare leggermente ingrossate, generalmente non superano la grandezza di un pisello e formano spesso “catene di rosario” ma possono nascondono anche patologie delle alte vie respiratorie, ipertrofie tonsillari, adenoidi infiammate , carie dentarie. Cosa Fare…rimuovere le cause di base dell’ingrossamento linfonodale e non preoccuparsi del sintomo, cioe’ del linfonodo stesso.
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venerdì 2 ottobre 2009

Aqua

L’acqua è un elemento indispensabile per la vita, e parte in causa di molte funzioni del nostro organismo, dalla regolazione della temperatura corporea alla diuresi , alla circolazione sanguigna.
L'acqua rappresenta circa il 60% del peso corporeo di un adulto e l'80% di quello di un bambino. Durante la giornata, questa acqua varia continuamente in quantità e concentrazione: a riposo e soprattutto in movimento, sono abbondanti le perdite idriche dell'organismo: circa 2-2.5 litri al giorno. L'eliminazione avviene soprattutto con la respirazione, l'urina, la sudorazione e le feci. L'acqua totale corporea (ATC) è distribuita per il 67% all'interno delle cellule e per il 33% all'esterno, nel liquido interstiziale, nel plasma, nella linfa e nel liquido transcellulare.
Il bilancio dell'acqua è regolato dal cento ipotalamico della sete e dall'ormone antidiuretico che aumenta il riassorbimento nei reni.
Per mantenere in equilibrio il bilancio idrico, le perdite vanno reintegrate con l'apporto di acqua, che deve essere rimpiazzata con la stessa velocità con cui viene eliminata: nell'adulto il fabbisogno idrico giornaliero è di circa 2-2.5 litri, di cui la maggior quantità (un litro e mezzo circa) viene fornita dall'acqua stessa e la restante parte dall'acqua contenuta in alimenti e bevande (frutta, verdura, caffè, succhi di frutta ...).
La quantità giornaliera varia con il clima, lo stile di vita, l'età e l'alimentazione e se il quantitativo è insufficiente compaiono i sintomi di disidratazione, affaticamento dei reni, secchezza della pelle e torpore. Dunque bere acqua tutti i giorni per reintegrare le perdite di liquidi e di sali. L'acqua minerale naturale in particolare, grazie al suo contenuto di minerali, aiuta a reintegrare e a fornire il corpo dei sali di cui ha bisogno.
Non tutte le acque minerali sono uguali: ognuna ha caratteristiche specifiche che dipendono dal tipo di sali in essa disciolti.
Le acque si chiamano minerali quando vengono riconosciute tali dal Ministero della Salute attraverso analisi chimico-fisiche e microbiologiche (su composizione, purezza e qualità) che determinano le caratteristiche dell'acqua.
Premesso che tutte le acque potabili contengono sali, la legge considera "minerali" quelle che originando da una falda sotterranea, sono microbiologicamente pure.
Qualsiasi trattamento chimico che alteri la composizione dell'acqua fuori legge: le acque minerali devono essere batteriologicamente pure e prive di inquinanti; devono poi essere imbottigliate come sgorgano dalla sorgente. L'unico trattamento eventuale è l'aggiunta di anidride carbonica per renderle gassate.
Si differenziano dall'acqua potabile del rubinetto, che può essere prelevata da laghi, fiumi o falde superficiali e può essere sottoposta a trattamenti (ad esempio l'aggiunta di cloro).
Le caratteristiche e le proprietà salutari dipendono dalla fonte di provenienza e dai sali minerali.
In base al tipo di minerali in esse disciolti, indicati come "residuo fisso" (cioè la quantità di sali minerali depositati da un litro di acqua fatto evaporare a 180°, le acque minerali vengono classificate come:
Minimamente mineralizzate: hanno un contenuto di sali minerali inferiore a 50 milligrammi per litro; si tratta di acque "leggere" che in quanto povere di sali minerali favoriscono la diuresi e facilitano l'espulsione di piccoli calcoli renali.
Oligominerali: hanno un contenuto di sali minerali non superiore ai 500 milligrammi per litro. In virtù dei pochi sali minerali presenti, sono ottime acque da tavola, adatte ad essere bevute quotidianamente; inoltre svolgono un'ottima azione diuretica e contengono poco sodio.
Minerali: il residuo fisso è compreso tra 500 e 1000 milligrammi (1 g) per litro. Contengono una percentuale consistente di sali minerali e pertanto non devono essere bevute in quantità eccessive (fino a un litro al giorno), alternandole con acqua oligominerale. Hanno applicazioni diverse a seconda del tipo di sostanze in esse presenti (calcio, zolfo, ferro, magnesio, bicarbonato...).
Ricche di sali minerali: il residuo fisso è di oltre 1500 milligrammi per litro. Sono molto ricche di sali, pertanto devono essere bevute specificamente a scopo curativo e su consiglio medico.

Da un' analisi della letteratura si evidenzia come le acque oligominerali trovino, proprio per le loro peculiari caratteristiche, un frequente impiego sia in ambito nipiologico che pediatrico.
Per schematizzare:
1)L'uso di acque oligominerali a prevalenza calcica o alcalina terrosa, per la ricostruzione e diluizione dei latti formulati, sembra rispondere ad ottimi criteri di tollerabilità e favorire la funzione assimilativa, assicurando inoltre un buon introito di calcio ed altri elettroliti fondamentali in un periodo di rapido accrescimento e non comporti alcun rischio di eccessivo carico salino per i neonati e i piccoli lattanti.
2) Azione diuretica quale coadiuvante nel trattamento e nella profilassi delle infezioni delle vie urinarie e della calcolosi urinaria. e favoriscono l'eliminazione attraverso il rene di cataboliti tossici che si possono formare in corso di stati febbrili, con vomito e diarrea.
3) Le acque minerali (bicarbonato-calciche) passando dallo stomaco al duodeno esercitano uno stimolo alcalinizzante, facilitando così l'azione degli enzimi pancreatici e sono utili in casi di chetoacidosi conseguente a malattie febbrili, a stati dismetabolici o gastroenteriti tossiche, in quanto svolgono un'azione tamponante e tendono a ripristinare una valida riserva alcalina.
Le acque bicarbonato-calciche sono utili anche nei periodi di elevato accrescimento, in cui massima è la richiesta di elementi quali il calcio.
4) Un'acqua ad uso nipiologico (bambini di 2-3 mesi) non deve assolutamente contenere nitrati in concentrazione superiore a 10 mg/L.
5) L'assenza poi di contaminazione batteriologica consente il loro impiego senza ricorrere alla bollitura, operazione che tende a privare l'acqua dei gas disciolti e a far precipitare sali.

Per saper leggere e ben interpretare l'etichetta di un'acqua minerale, clicca sul titolo.

giovedì 24 settembre 2009

La "violenza" nelle fiabe dei bambini

Come tutti, o quasi tutti, i papà racconto le favole…niente di insolito. Dall’alba dei tempi , in modi e lingue diverse, sono state raccontate favole ai bambini.
Da Esopo, favolista greco del VII o VI sec a.c., con le sue favole ricche di animali con sobrio riferimento ai vizi e alle virtù umane ad Hans Christian Andersen della Piccola Fiammiferaia e del Soldatino di piombo , ed ai Fratelli Grimm , con Biancaneve e i sette Nani e Pollicino, scritte a fine '700 , non da Walt Disney , per finire con il Padre di Pinocchio, Carlo Collodi , le favole hanno segnato la nostra esistenza, ci hanno fatto immaginare, sognare e volare sulle ali della fantasia, accompagnandoci fino all’età adulta. Ma , da adulti, ci siamo mai soffermati, raccontando una storia ai nostri figli, del significato di questa o analizzare i personaggi che animano una fiaba?
Le fiabe dei fratelli Grimm sono colme di violenza.Nella favola originale di Cappuccetto Rosso c' è una descrizione accurata di come il lupo viene ucciso e squartato. I due fratelli tedeschi non scrissero di proprio pugno le favole, ma anzi, le raccolsero con accuratezza nei paesi e nelle campagne, dove venivano tramandate per via orale. Con il passare degli anni e con il passaparola queste leggende, divenute favole, venivano riadattate per essere raccontate ai bambini davanti al fuoco nelle sere dei rigidi inverni germanici.
Ma altri esempi come la Regina matrigna che ordina al “ fidato” cacciatore di uccidere l’orfanella Biancaneve perché molto più bella di lei, o Hansel e Gretel o Pollicino che vengono abbandonati dai genitori e rischiamo di venir mangiati da orchesse e orchi giganteschi, come nel “Fagiolo Magico” .Poi non pensiamo alla Piccola Fiammiferaia , bimba che muore di stenti e di freddo la vigilia di capodanno e cerca di scaldarsi con i fiammiferi. Pinocchio , da pezzo di legno diventa un bambino ma passando per mille peripezie e inanellando tutti i lati negativi degli uomini, dalla furbizia negativa della Volpe ladra, allo sfruttamento minorile di Mangiafuoco al rendere in schiavitù gli asinelli - bambini che giocano a biliardo e fumano sigari….le principesse delle favole sono tutte orfane, cadute in disgrazia, con sorellastre e matrigne , rischiano la vita continuamente, vedi Cenerentola o la Bella e la Bestia o la Sirenetta. Ma che gli raccontiamo a questi poveri bambini….

Noi non associamo mai la "morale" alla violenza, separiamo sempre un’azione cattiva , anche se è sotto metafora, da un’azione positiva ed educativa. Eppure il fine ultimo di questi racconti era proprio l' insegnamento morale. Necessario è leggere la fiaba o favola, (sinonimi derivati dal verbo latino “ fari” che significa "parlare", "raccontare") anche nel contesto storico nel quale è stata scritta o raccontata, che non è lo stesso di oggi. La finalità è a carattere morale-didascalico, pertanto la sua trama non si esaurisce nella vicenda narrativa , allora come oggi , ma vuole piuttosto evidenziare un messaggio di ordine etico, giacché assai spesso gli scrittori se ne valsero in rapporto a un contesto politico-sociale negativo con povertà e fame per la maggioranza della popolazione, analfabetismo, alta mortalità infantile. Anche oggi dobbiamo vedere, al di là della storia raccontata, il fine educativo più alto della fiaba, e vederla come Gianni Rodari, il quale sosteneva che le favole devono servire unicamente ad aprire la mente del bambino, assolvendo così il loro scopo educativo. "Le favole -così recitava una sua famosa frase- sono il posto delle mille opportunità".

sabato 12 settembre 2009

Zucchero : 2° parte

La maggioranza di noi non pensa che quando dolcifichiamo il nostro caffe’ con lo zucchero bianco stiamo usando una miscela contenente calce, resine, ammoniaca, acidi vari e "tracce" di barbabietola da zucchero.
Che cosa e' rimasto del primo succo scuro ricco di vitamine, sali minerali, enzimi, oligoelementi che componeva la base dello zucchero che mangiamo?
Purtroppo quasi nulla. Lo zucchero raffinato diviene nocivo per la salute se consumato ad alte dosi (mangiando, per esempio dolci e dessert dopo tutti i pasti nella stessa giornata)e sicuramente è necessario ricercare un’alternativa più naturale e meno dannosa, soprattutto per i bambini. Lo zucchero bianco ha un’ influenza sia sul sistema nervoso sia sul metabolismo, creando prima stimolazione poi depressione con conseguenti stati di irritabilità.Il rapido e violento assorbimento dello zucchero nel sangue che fa salire la glicemia. Di fronte a tale rapido innalzamento, il pancreas risponde immettendo insulina nel sangue e ciò provoca una brusca discesa del tasso glicemico detta "crisi ipoglicemica" caratterizzata da uno stato di malessere, sudorazione, irritabilità, aggressività, debolezza, necessità di altro carburante dato dallo zucchero.La conseguenza di questa caduta degli zuccheri e' l'immissione in circolo, da parte dell'organismo, di altri ormoni atti a far risalire la glicemia, tra cui l'adrenalina che e' l'ormone dell'aggressivita', della difesa, della tensione. Si puo' ben comprendere come questi continui “cambiamenti” ormonali con i loro risvolti psicofisici determinano un esaurimento delle energie con l'indebolimento di tutto l'organismo. Cio' e' stato ampiamente verificato da studi condotti negli Stati Uniti dove la violenza e l'aggressivita' nei bambini, messe in relazione anche al tipo di dieta e ai cibi e zuccheri raffinati, hanno creato allarme e preoccupazione per tutte le conseguenze sociali che esse determinano.


A livello intestinale provoca processi fermentativi con produzione di gas e tensione addominale, e l'alterazione della flora batterica con tutte le conseguenze che cio' comporta (coliti, stipsi, diarree, formazione e assor bimento di sostanze tossiche, ecc.).IN teragisce con le vitamine, soprattutto del gruppo B. La vitamina B1 è necessaria per la trasformazione dei carboidrati. Quanto più zucchero viene introdotto, tanto maggiore è il fabbisogno di Vitamina B1.


Altre possibili interazioni con l’organismo sono: apparato circolatorio (con l'aumento di colesterolo e danni alle arterie), epatico, pancreatico (poiche' l'organo che gestisce gli zuccheri e' il pancreas), ponderale (con l'aumento di peso e l'obesita'), cutaneo.

Dolcificanti Naturali

Come sostituto dello zucchero bianco raffinato si puo’ tentare un elenco dei sostituti dello zucchero raffinato:

Fruttosio, zucchero semplice, facilmente reperibile, sia in natura che commercialmente.
Il malto d'orzo, di riso o di mais: sono fluidi, con sapore di caramello, derivati dalla bollitura di questi cereali. Il prodotto così ottenuto viene poi concentrato fino ad ottenerne uno simile al miele.
Lo sciroppo d'acero: è un dolcificante che si ottiene dai tronchi degli aceri da zucchero (Acer saccharum) e degli aceri rossi (Acer rubrum). La linfa viene concentrata tramite un processo di bollitura.
Il succo d'agave: deriva da una pianta di origine messicana ed è ricco di sali minerali; contiene soprattutto fruttosio e dolcifica più dello zucchero.
Il succo d’uva: derivato dalla bollitura della spremitura di uve alla quale si aggiungono chiodi di garofano, cannella, limone. Contiene fruttosio.
Lo zucchero integrale: derivato dal succo della canna da zucchero (non esiste come derivato della barbabietola), che viene poi fatto bollire ottenendo una polvere grossolana, mai cristallina, non trattata.
Il miele: prodotto dalle api a partire da nettare o melata. Il fruttosio è lo zucchero maggiormente presente, conferendo al miele un potere dolcificante maggiore dello zucchero.

Dolcificanti artificiali

Ottenuti per sintesi chimica, non si ritrovano in natura. Hanno un valore nutritivo praticamente nullo. In Italia l'uso dei dolcificanti sintetici e' consentito solo per i prodotti dietetici autorizzati dal Ministero della Sanita'. Tranne l'aspartame, tutti i dolcificanti artificiali, compreso l'ultimo nato, l'acesulfame-K, vanno a toccare i delicati meccanismi di controllo dell'insulina, causando un aumento della sua produzione (azione insulinotropica).

L 'Aspartame fu scoperto per caso nel 1965 e viene approvato per gli alimenti disidratati nel 1981 e per le bibite gassate nel 1983. L'Aspartame è di gran lunga la sostanza più dannosa in commercio ad essere aggiunta agli alimenti. E' responsabile per circa il 75% delle reazioni avverse agli additivi alimentari segnalati dall'FDA statunitense. Alcuni dei 90 differenti sintomi documentati elencati nel rapporto come causati dall'Aspartame includono: mal di testa, vertigine, infarti, nausea, intorpidimento, spasmi muscolari, depressione, perdita di capelli, palpitazione, difficoltà respiratorie, difficoltà di parola, attacchi d'ansia, tintinnio auricolare, vertigini, perdita della memoria, dolore alle giunture.
L'Aspartame è costituito per il 40% di acido aspartico; l'acido glutammico è per il 99% monosodico glutammato. L'aspartato e il glutammato funzionano come neurotrasmettitori nel cervello facilitando la trasmissione dell'informazione da neurone a neurone. Troppo aspartato o glutammato nel cervello uccide alcuni neuroni permettendo l'afflusso di troppo calcio nelle cellule. Questo afflusso scatena un aumento eccessivo di radicali liberi che uccidono le cellule.